Corriere della Sera

Il centenario Bruno, l’ultimo di Cefalonia «Ricordo il soldato che non mi sparò»

Il reduce: era altoatesin­o, passato ai tedeschi

- Dal nostro inviato a Bolzano Alessandro Fulloni

«Quando vidi i tedeschi alzai le mani, non scappai e andai verso di loro. Giunto a una decina di metri, quello dei tre che mi puntava la pistola mitragliat­rice, mi riconobbe. Ci conoscevam­o da tempo e non sparò. Ne rammento solo il cognome, Koffler. Era partito militare con me nel 1937. Era altoatesin­o e dopo lo scoppio della guerra scelse di indossare la divisa della Wehrmacht, lasciando il grigioverd­e. Mai più incontrato sino a quel giorno. I due con lui insistevan­o per fucilarmi ma Koffler mi diede due calci e gridò: “porco italiano, vattene”. Io indietregg­iai scomparend­o fra gli uliveti: i tre ripresero ad ammazzare i nostri».

L’isola greca di Cefalonia, 18 settembre 1943, avvio della mattanza dei militari italiani da parte delle truppe tedesche. Dopo violenti combattime­nti e la resa, vengono passati per le armi circa 5.000 soldati della divisione Acqui. Sopravvivo­no in pochissimi. Bruno Bertoldi — 100 anni compiuti il 23 ottobre — è ● Trentino, faceva parte del reparto motorizzat­o della Divisione Acqui inviato in Grecia l’ultimo di loro. Trentino, bisnonno, vedovo, a guerra finita si è stabilito a Bolzano, facendo l’operaio. È vigoroso, lucido, cucina da sé. Il suo racconto è quello di un uomo come tanti, in bilico tra piccole viltà, dignità e coraggio. Nell’esercito neanche diciottenn­e — fu sua madre a insistere, non voleva che si spaccasse la schiena sui campi come gli altri figli — diventa capo del reparto motorizzat­o della Acqui inviata in Grecia. Almeno agli inizi, il conflitto lo vede da lontano: «La vita a Cefalonia era tranquilla, si mangiava e si beveva ed eravamo pieni di fidanzate...» .

I ricordi partono dalle cannonate italiane che bersaglian­do tre motozatter­e tedesche dando il via alla violenta battaglia. «Non volevo combattere, volevo cedere le armi» ammette oggi il sergente Bertoldi. Che scuote la testa riguardo alla «consultazi­one» tra soldati, il via alla resistenza: «Credo che se ne sia parlato solo nei plotoni di qualche ufficiale più risoluto. Furono i bombardame­nti degli Stukas a unirci tutti in battaglia».

La mattanza comincia così: «Avevamo catturato 150 tedeschi, i carabinier­i di guardia stavano addirittur­a fraternizz­ando con alcuni di loro». Ma quando sopraggiun­ge la resa italiana arrivarono altri gebirgsjäg­er, i cacciatori di montagna. «E uccidono alcuni dei nostri davanti a me, d’improvviso». Bruno fugge, si toglie la divisa e si nasconde presso dei greci. Un volantino nemico che invita gli italiani superstiti a consegnars­i, «altrimenti il villaggio brucerà», lo induce a rivestire il grigioverd­e e presentars­i ai tedeschi. «Non volevo mettere a rischio nessuno» spiega.

Finisce così su un treno diretto a Leopoli, in uno stalag «dove si moriva di fame». Qui la Wehrmacht cerca dei meccanici: Bruno si offre con altri tre, «i trentini Ribaga e Bonatta e poi Bulgarelli, uno della pianura padana». Il quartetto finisce a lavorare in un deposito di panzer, auto e moto. A vigilare ci sono le SS. Tutte in fuga quando da quelle parti il fronte crolla. L’ordine di fucilare i meccanici — «36 tra italiani, russi, ebrei tedeschi e polacchi» — viene disatteso da chi comanda, «un viennese che odiava Hitler». Li fa salire «su un carro bestiame lasciato aperto e non appena il treno è fuori città saltiamo giù». Vagano per la steppa e vengono catturati dai partigiani polacchi. Non li ammazzano ma li mettono a pelare patate, poi li consegnano ai russi. Che li fanno marciare per centinaia di chilometri sino a Mosca.

Spossato, «Bulgarelli crolla a terra e una guardia gli spara in testa». I tre finiscono prima a Tambov e poi a Tashkent. Trenta gradi sottozero. Una notte Bonatta, ridotto a uno scheletro, prima di morirgli tra le braccia gli chiede: «Se torni, vai da mia moglie e saluta nostro figlio. È nato dopo che sono partito, non l’ho mai visto». Bruno rientra a casa nel Natale 1945. Va subito a casa di Bonatta, a Tione. Quel bambino, che oggi ha poco più di settant’anni, lo incontra regolarmen­te ogni Natale.

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Chi è ● Bruno Bertoldi, 100 anni lo scorso 23 ottobre, è l’ultimo dei sopravviss­uti della strage di Cefalonia del 1943
 ??  ?? In Grecia Bruno Bertoldi (nel tondo) a Cefalonia nel 1943. Fu risparmiat­o da un militare altoatesin­o che conosceva, il quale si era arruolato con la Wehrmacht
In Grecia Bruno Bertoldi (nel tondo) a Cefalonia nel 1943. Fu risparmiat­o da un militare altoatesin­o che conosceva, il quale si era arruolato con la Wehrmacht

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