L’inno alla gioia di Luigi Santucci, narratore «di vocazione»
Oggi all’università Cattolica si conclude la due giorni dedicata all’autore scomparso nel 1999. Milano gli dedicherà un’area verde
La scrittura come avventura. Nel soprannaturale, nella trascendenza. «Bussavo insomma alla porta di Dio». E vi trovava la speranza, Luigi Santucci, narratore, poeta, drammaturgo che, a un secolo dalla nascita, l’11 novembre 1918, l’università Cattolica e il Centro di studi manzoniani celebrano con due giorni di riflessioni, incontri, approfondimenti. Il titolo dell’evento è già un ritratto dell’autore: Il testimone della gioia. Luigi Santucci e il ministero della parola.
«Scrittore di vocazione e di professione». Amato, dimenticato e riscoperto (sono appena usciti per Marietti 1820 Gli scampati e altri racconti inediti e per gli Oscar Mondadori Il velocifero, del 1963), cattolico di un cattolicesimo «fondato sulla libertà della coscienza» che poteva contare sulla lezione (e l’amicizia) di padre David Maria Turoldo e don Primo Mazzolari, Santucci fece attraversare la sua poetica da una costante: «Il tema della gioia», fa notare Enrico Elli, studioso dello scrittore e docente di Letteratura italiana alla Cattolica. E proprio di questo, di «Santucci scrittore della speranza cristiana» parlerà questa mattina Elli nella sede dell’ateneo di largo Gemelli.
Ieri gli incontri sull’autore si sono tenuti alla «Casa del Manzoni» di via Morone, con i saluti di Angelo Stella, presidente del Centro studi manzoniani, i ringraziamenti della famiglia Santucci, le analisi sull’archivio dello scrittore (con Clelia Martignoni). Poi, al Teatro Franco Parenti, serata di ricordi con Andrée Ruth Shammah e Filippo Crivelli; di letture dal Velocifero e dall’orfeo in Paradiso (a cura di Anna Nogara e Mario Cei); di proiezioni dei filmati tratti dall’arca di Noè e dall’orfeo in Paradiso.
Dagli esordi all’autoritratto postumo (2004), dalle prose spirituali a Éschaton, pubblicato nel 1999, anno della morte dello scrittore. Luigi Santucci: scrittura come vita si intitola il documentario di Luca Scarzella e Giorgio Tabanelli che sarà proiettato questa mattina alla Cattolica. Ma si parlerà anche del Contesto culturale cattolico negli anni di Santucci (e della contestazione, presente in Non sparate sui Narcisi del 1971), del lascito dell’autore come «testimone della gioia». «In un Novecento così segnato da visioni apocalittiche — commenta Giuseppe Langella, presidente del comitato nazionale celebrazioni Santucci — il messaggio positivo dello scrittore diventa un canone; il suo rendere grazie, “scrivo per lodare” diceva, lo distingue nella letteratura del secolo scorso».
Le parole che salvano, che difendono dal male. «Santucci fu autore della Buona Novella, più natalizio che pasquale», osserva Langella. E mette in guardia da superficiali interpretazioni: «Quella di Santucci è una gioia inquieta, ha qualcosa di francescano che attraversa il dolore e lo supera». Forse è questo il segreto della sua recente riscoperta: «Viviamo una stagione di tale aridità e solitudine che la testimonianza di Santucci ci consente di volare un po’ più in alto».
Con la giornata di oggi — a chiudere sarà l’ex ministro Dario Franceschini — si concludono le celebrazioni per il centenario della nascita di Santucci, avviate a maggio a Urbino e continuate in ottobre a Roma. A fine mese Milano intitolerà a Luigi Santucci l’area verde di piazza Tricolore.