Fresu: «Porto a teatro il furore e la tragedia di Chet Baker»
«Èstato un mito del ‘900 musicale. Se Miles Davis è il grande architetto del jazz, Chet Baker ne è il poeta», assicura Paolo Fresu, trombettista sardo tra i più apprezzati al mondo, scrittore, animatore culturale, ricercatore etnografico. Ora per la prima volta coinvolto in un progetto teatrale che rende omaggio a quell’angelo del jazz dal cuore di tenebra.
Bello e dannato come James Dean, anche lui vissuto pericolosamente, devastato da alcol e droghe, morto prima del tempo, volato giù dalla finestra di un albergo di Amsterdam il 13 maggio 1988. «Ma l’anniversario, i 30 anni da quella tragica fine ancora avvolta nel mistero, è casuale — prosegue Fresu —. Quel che volevamo far rivivere è la sua storia, così disperatamente umana, e la sua musica così limpida e trasparente, intrisa di furore e malinconia come il suo sguardo».
E allora, da questa sera al Comunale di Bolzano, è Tempo di Chet. La leggenda di Chet Baker, spettacolo che intreccia la scrittura drammaturgica di Leo Muscato e Laura Perini con la partitura musicale scritta da Paolo Fresu. Otto attori e tre musicisti, Fresu alla tromba e al filicorno, Dino Rubino al piano, Marco Bardoscia al contrabbasso, insieme per creare un flusso di parole e musica capace di evocare quella vita spericolata e meravigliosa.
«In realtà si tratta di una vera opera jazzistica — spiega Fresu —. Non solo il percorso di un genio maledetto, ma anche uno spaccato di storia della musica del secolo scorso e di un’epoca tormentata che ha visto Baker protagonista negli Usa e anche in Italia, Paese da lui amatissimo, che frequentò a lungo». Tra sogno e memoria, Chet rincontrerà le ombre del passato, le donne, i figli, i critici, i fan, i pusher. Il padre che gli regala la prima tromba, i successi, gli eccessi, il volo fatale... «Mi sento vicino alla sua filosofia del suono, e anch’io ho scoperto da piccolo la magia della tromba. Mio fratello maggiore la suonava nella banda, e per la mia famiglia di pastori poverissimi era come una reliquia. Da sistemare sul piano più alto della libreria per renderla irraggiungibile. Quando a 11 anni riuscii a tenerla tra le mani, l’emozione è stata grande».
Un amore che dura da trent’anni. «Per fortuna in modo meno drammatico dei tempi di Baker. I jazzisti oggi sono in gran parte salutisti. Alcol e droghe non aiutano a diventare bravi musicisti, al contrario distruggono il talento. Quel che servirebbe è far nascere nuovi spazi dove i nuovi jazzisti, e in Italia ce ne sono tanti di straordinari, potessero incontrarsi e suonare insieme. La poesia del jazz nasce così».