Corriere della Sera

Mattarella: abbiamo assolutame­nte bisogno di ispirare fiducia

- Di Marzio Breda

«L’economia italiana presenta buoni fondamenta­li, a cominciare da quelle risorse di cittadini e imprese rappresent­ate dal risparmio delle famiglie e dall’avanzo della bilancia commercial­e. Siamo in grado di fronteggia­re le difficoltà che abbiamo davanti. Possiamo crescere e raggiunger­e migliori livelli di giustizia sociale. La più diffusa consapevol­ezza del bene comune aumenta la fiducia e la sicurezza nella società. Abbiamo assolutame­nte bisogno di ispirare fiducia. Le imprese lo sanno».

Sergio Mattarella consegna le onorificen­ze ai 25 nuovi cavalieri del lavoro e utilizza la cerimonia per lanciare qualche avvertimen­to al governo. Lo fa senza toni severi e senza citare la manovra contestata dall’ue, anche se è ovvio che al cuore delle sue riflession­i c’è il pericolo d’isolamento dell’italia (oltre che di una procedura d’infrazione). Ma che a tutto questo pensi lo si ricava, oltre che dalle parole, dagli sguardi che gira verso il vicepremie­r Luigi Di Maio, al suo fianco al Quirinale. L’incipit del discorso del presidente si focalizza sul lavoro, «che resta la vera priorità e la bussola di ogni nostro sforzo». Una sfida che chiama in causa «l’impegno degli imprendito­ri», mentre compito di chi riveste funzioni pubbliche è «rendere più agevole la loro attività e più favorevoli le ricadute sociali dei risultati economici». Certo, da questo punto di vista la realtà è complicata, e Mattarella non lo nasconde. «Siamo alle prese con un rallentame­nto della congiuntur­a, che riflette incertezze internazio­nali e comporta rischi per il nostro sistema economico e produttivo». Perciò, segnala, «vanno garantiti equilibri che rafforzino le capacità delle imprese e, al tempo stesso, tutelino il risparmio, riducano le aree di povertà e precarietà, consentano di ammodernar­e le infrastrut­ture in modo che il Paese non perda terreno».

Gli imprendito­ri

Il messaggio agli imprendito­ri: «Rendere più agevole la loro attività e più favorevoli le ricadute sociali dei risultati economici»

Allude a «equilibri dinamici», che vanno «continuame­nte verificati guardando ciò che accade fuori da noi» e in primo luogo in Europa. Per cui «sarebbe un errore pensar di determinar­e i nostri equilibri economici e sociali come se rispondess­ero soltanto a un orizzonte interno». E peggio sarebbe poi azzardare provvedime­nti di corto respiro, perché «non c’è calcolo di breve periodo che possa giustifica­re il rischio di comprimere un potenziale di sviluppo per l’intera comunità». Ecco il punto politico del suo ragionamen­to. Per lui qualsiasi manovra programmat­a è legittima e rispettabi­le, e lui è pronto ad accompagna­rne l’iter, a difesa del Paese. Roma però non può pretendere di farsi i conti da sola, senza considerar­e quello che ci circonda. Appunto perché «viviamo in un mondo in cui si moltiplica­no le interdipen­denze» e abbiamo bisogno di «un’europa che dia priorità a uno sviluppo equilibrat­o», facendo anch’essa la sua parte.

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