IL MOVIMENTO ESALTA UN RISULTATO CONTROVERSO
Il compromesso era scontato. Pochi credevano che sulla prescrizione Luigi Di Maio e Matteo Salvini avrebbero rotto. Per il momento, il governo M5slega «non può» cadere. Deve arrivare almeno ai primi mesi del 2019. Il modo in cui è stata raggiunta l’intesa, però, riconsegna l’immagine di un «contratto» sbilanciato. I Cinque Stelle impongono i propri temi con enorme fatica; la Lega, invece, cede all’alleato ma impedisce ai seguaci di Beppe Grillo di cantare vittoria. Lo schema dell’accordo di ieri lo conferma.
In apparenza, Di Maio ha vinto. La prescrizione dei reati sarà interrotta dopo il primo grado di giudizio: come voleva il Movimento contro Salvini e contro perplessità diffuse tra magistrati e avvocati. Ma il Carroccio ha ottenuto che il provvedimento fosse collegato a una legge di riforma dei processi. La mediazione del premier Giuseppe Conte ha permesso di superare le rigidità. Il risultato, tuttavia, è ambiguo. La prescrizione partirà nel 2020. E nel M5S i malumori serpeggiano.
Gli aggettivi trionfalistici della cerchia di Di Maio non debbono impressionare. Non ci sono vessilli da sbandierare, come ha fatto invece Salvini col controverso decreto sulla sicurezza. È stata piantata solo una bandierina che permetterà al M5S di presentarsi alle Europee di maggio con minore imbarazzo. Reddito di cittadinanza, prescrizione e abolizione dei vitalizi sono misure-simbolo gradite a una base inquieta; e frustrata dal governo col Carroccio.
È indicativo il giudizio sferzante del magistrato Piercamillo Davigo, uno dei fari giudiziari dei Cinque Stelle. «Vedremo gli effetti della prescrizione tra molti anni, quando sarò morto», ha commentato. Ma l’obiettivo del vicepremier non è quello di un’applicazione immediata. La preoccupazione di Di Maio è scacciare l’ombra di un esecutivo dominato dalla Lega; di marcare il territorio di un Movimento che il 4 marzo ha avuto quasi il doppio dei voti di Salvini; e di impedire che la subalternità si trasformi in una fuga degli elettori.
Su questo sfondo, gli strappi sono sintomi fisiologici. La domanda è se resteranno tali, qualora la Commissione Ue e i mercati finanziari spingessero il governo in un angolo. Secondo le stime di Bruxelles, il deficit dell’italia salirà al 2,9% nel 2019, e aumenterà ancora nel 2020. E il Paese crescerà meno di tutti gli altri in Europa, sebbene il premier Conte insista che l’italia «contribuirà alla crescita europea». Viene sottovalutato il monito del capo dello Stato, Sergio Mattarella, a tutelare il risparmio guardando ai mercati e all’europa.
Obbligati a ricucire
Una maggioranza obbligata a ricucire anche se gli strappi sono destinati a continuare per le tensioni con l’europa