Corriere della Sera

IL NUOVO LAVORO INCOMPRESO

- di Dario Di Vico

L’Emilia è diventata ormai più lib che lab? Le tradiziona­li culture laburiste di un territorio che ha rappresent­ato il retroterra della sinistra italiana stanno lasciando spazio a schemi più orientati all’individual­ismo e al rischio? A leggere i risultati di un’indagine sul lavoro condotta a Modena dall’osservator­io Via Emilia sembra proprio di sì. Alla domanda chi difende meglio il lavoro, il campione proporzion­ale di 700 residenti modenesi ha dato come prima risposta (28,3%) «un lavoratore deve difendere da solo i propri interessi». Staccando di oltre 10 punti «i sindacati». E se potesse scegliere un’occupazion­e per sé e i propri figli cosa preferireb­be? Risposta più frequente: «un lavoro in proprio» con il 20,7%, mentre entrare in un’impresa cooperativ­a è stato indicato solo dal 4,2% del campione. Ultima sorpresa: alla domanda che invita a pescare dal lessico del lavoro «la parola che suscita in lei i maggiori sentimenti» i consensi più alti sono andati alla parola «profession­alità» che con un voto di 8,5/10 ha sopravanza­to nettamente il termine «diritti». Senza voler ingigantir­e la portata dell’indagine modenese va detto che mettendo in fila le tre risposte di cui sopra emerge il profilo di un lavoratore emiliano del nuovo secolo, molto attento al rapporto tra individuo e prestazion­e lavorativa, convinto che la profession­alità sia il passeparto­ut del futuro e distante dalle grandi macchine organizzat­ive del glorioso Novecento quali sindacato e coop.

Che questi profondi mutamenti culturali possano avere anche conseguenz­e di tipo politico va da sé visto che in Emilia c’è già grande fibrillazi­one per le prove elettorali amministra­tive del 2019 che interesser­anno sia il Comune di Modena sia la Regione con un leit motiv chiaro: l’assalto della Lega alle roccaforti rosse.

Tornando a quella che abbiamo intravisto come evoluzione lib della cultura del territorio vale la pena sottolinea­re come viaggi in abbinata con il protagonis­mo delle multinazio­nali tascabili emilianoro­magnole che ha contribuit­o a ridisegnar­e il triangolo dello sviluppo italiano. Se quindi il «nuovo» lavoratore e le medie imprese sono in asse, si avverte invece chiarament­e la mancanza di una mediazione politica capace di fare i conti con le trasformaz­ioni e portarle a valore di sistema, anche se va riconosciu­to che un trend di tipo individual­ista, quantomeno, allarga lo spazio potenziale dei leghisti. Chi in rapporto a questi mutamenti appare sfasato, almeno al Nord, è il Movimento 5 Stelle che finora

ha proposto una cultura che non ama l’alternanza scuola-lavoro, non spasima per il 4.0, sottovalut­a profession­alità e competenze e anzi apre varchi a un revival assistenzi­alista.

In mezzo alle grandi discontinu­ità però il vero vaso di coccio sembra essere il sindacato. Tutti i risultati della ricerca (che sarà disponibil­e sul sito mariodelmo­nte.it) bastonano le confederaz­ioni. La parola «sindacato» è quotata circa metà di «profession­alità» e il pronostico sui prossimi tre anni del campione modenese è che Cgil-cisl-uil dovranno fare i conti con un ulteriore calo di importanza. E se dalla sociologia ci spostiamo alla cronaca troviamo conferme. Per replicare alla manovra del governo Conte le confederaz­ioni hanno steso dopo molte esitazioni un ampio (e contraddit­torio) documento portato successiva­mente alla consultazi­one delle fabbriche. Le prime impression­i dal campo parlano di un mutato atteggiame­nto dei lavoratori poco interessat­i al ruolo «politico» di Cgilcisl-uil e più orientati a discutere dei problemi aziendali. Vedremo se questa sensazione sarà confermata, le conseguenz­e sarebbero di ampia

II sindacato

Non si può certo dire che in questa era di transizion­e il ruolo sia in linea con la sua storia

portata. Per intanto a completare il quadro delle difficoltà vanno aggiunte le esitazioni sul tema delle infrastrut­ture. La Cisl ha spinto per una presa di posizione coerente, mentre a Torino la Cgil si è divisa tra una Fiom Notav e una Fillea protav e solo in extremis è arrivata giovedì scorso la presa di posizione favorevole «a tutte le grandi opere» del segretario Camusso. Sommando questi episodi non si può certo dire che in questa complicata stagione della transizion­e italiana il ruolo di Cgil-cisl-uil sia in linea con la sua storia. La verità è che faticano a prendere le misure sia delle trasformaz­ioni del lavoro sia del populismo e stentano persino ad ammetterlo.

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