Superare limiti e sordità sociali dell’europa
L’unione europea Si può uscire dall’impasse, ma occorre tenere conto di quanto abbia nuociuto il non aver colto gli estesi fenomeni di sofferenza nella scia della crisi
Ancora in queste settimane è venuto crescendo, nell’opinione pubblica europea e internazionale, l’allarme sulle condizioni e le prospettive del processo di integrazione del nostro Continente. È un allarme – fortemente supportato da analisi e argomentazioni come quelle di un recente, importante scritto di uno dei maggiori protagonisti e pensatori dell’europa unita, il tedesco Joschka Fischer – per quello che presenta, come anno di incognite e di rischi, il cruciale anno 2019. È purtroppo vero sia che gli europei sono oggi «divisi come non mai», sia che i valori della solidarietà e della comunanza europea sono stati in diversi Paesi sopraffatti dal dilagare di nuovi sovranismi e nazionalismi. Tuttavia, si stanno facendo più fortemente sentire voci consapevoli di quel che ha rappresentato l’integrazione europea e di quel che potrebbe rappresentare, di regressivo e fatale, il rovesciamento o il crollo del percorso dell’unità europea.
ISEGUE DALLA PRIMA n questo momento, d’altronde, la tematica europea si è imposta a tutti come dominante: negli ordinamenti europei, nei successivi sviluppi della stessa legislazione europea siamo infatti, per ogni aspetto, interamente immersi. Il punto perciò non sta nell’assicurare di non voler mettere in questione le istituzioni e le fondamentali regole dell’unione. È innanzitutto indispensabile un comune impegno a richiamare nettamente in positivo quel che, partendo dalla Dichiarazione Schuman del 1950, l’avanzamento della Comunità e poi dell’unione Europea ha garantito a tutti i cittadini del nostro Continente. In primo luogo, come giustamente ha sottolineato l’appello di Habermas e di altre cinque rappresentative personalità tedesche, un secolo di pace a questa Europa tormentata e annichilita dalle contrapposizioni nazionalistiche e da due guerre distruggitrici. Non si può accettare che questa vitale conquista venga data ormai per scontata dalle generazioni che si sono avvicendate dopo la fine del secondo conflitto mondiale.
Né si può dimenticare, tra le conquiste non meno essenziali, la generalizzazione di assetti costituzionali democratici, del metodo e delle regole di libere elezioni politiche in tutti i Paesi associatisi al progetto europeo. E parallelamente sono state straordinarie le possibilità e gli avanzamenti sul piano economico e sociale, cui ha aperto la strada il cammino graduale e però costante della costruzione europea.
C’è forse bisogno di ricordare come l’integrazione abbia consentito un più intenso, equilibrato e competitivo sviluppo delle economie europee? Non dimentichiamo che si partì dall’analisi del «costo della non Europa», che negli anni 80 mostrò quali fossero gli ostacoli frapposti alla crescita degli
Contro i nazionalismi Si fanno sentire più fortemente le voci consapevoli di quello che è l’integrazione
scambi e delle collaborazioni tra i singoli Paesi del Continente ancora da integrare. E soprattutto quel che appare talvolta assurdamente dimenticato è stato la libera circolazione dei cittadini, che nell’europa unita ha potuto essere sancita e divenire operante, o quello straordinario campo di opportunità che ha aperto per masse crescenti di giovani la formidabile invenzione ed esperienza del progetto «Erasmus».
Questo è stato, intendiamoci, il frutto di un cammino molto graduale e però continuo, segnato da alti e bassi e anche da battute d’arresto. Probabilmente quel che dovrebbe essere oggi materia di un grande impegno condiviso, volto a far ripartire quel processo di «sempre più stretta unione» che è rimasto scolpito nei Trattati comunitari.
Perché nell’assetto e funzionamento attuale delle istituzioni europee si sono determinati indubbiamente ritardi e rinvii anche nell’attuazione di obbiettivi e impegni formulati dagli stessi organismi responsabili dell’unione: basti pensare, per fare qualche esempio, al completamento dell’unione bancaria, o alla realizzazione di una politica comune per tasse e imposte. Comunque, è andando più avanti nel processo di costruzione europea e non mettendolo in forse che si può uscire dall’impasse ed è dunque questo che le forze autenticamente europeiste debbono sollecitare e proporre in questa fase. Esse debbono tenere al tempo stesso conto di quanto abbia nuociuto alla causa europea il non aver saputo cogliere e affrontare i fenomeni estesi di sofferenza sociale che si sono verificati nella scia della crisi economica del 2008.
È così che il 2019 come anno cruciale, passando per le elezioni del nuovo Parlamento di Strasburgo, potrà segnare il rinnovamento e non la distruzione dell’europa integrata e unita, e perciò stesso rilanciata e non mortificata nel concerto delle relazioni internazionali e dello sviluppo mondiale.
Anno cruciale Il 2019 potrebbe segnare il rinnovamento e non la distruzione dell’istituzione Ue