Corriere della Sera

Il derby dei 5 Stelle senza una squadra

L’insoddisfa­zione del leader per i suoi ministri

- di Francesco Verderami

Il derby M5s-lega c’è, e Luigi Di Maio si è persuaso di non avere una squadra abbastanza forte per giocarlo.

Il derby c’è, anche se ieri il capo del Movimento ha tentato di negare che nel governo si stia disputando una «partita di calcio» tra alleati. Peccato che proprio i ministri abbiano provveduto a smentirlo: perché se da una parte la leghista Bongiorno ha continuato a ripetere che la prescrizio­ne entrerà in vigore «solo dopo» l’approvazio­ne della riforma giudiziari­a, dall’altra il grillino Bonafede ha continuato a ripetere che la prescrizio­ne entrerà in vigore «anche senza» l’approvazio­ne della riforma giudiziari­a.

Il derby c’è, Di Maio lo sa. La novità è che il vice premier dei Cinquestel­le si è convinto che per reggere la sfida con il vice premier del Carroccio dovrebbe cambiare formazione: cinque mesi gli sono bastati per maturarlo e il vertice organizzat­o l’altra sera con i suoi ministri serviva a rimarcare la sua «insoddisfa­zione» per la gestione della palla. C’entrano poco le svirgolate, che si succedono con regolarità: dal «tunnel del Brennero» di Toninelli, alla «ricerca scientific­a a 370 gradi» della Lezzi. Ma non è questo il problema, anche perché lo stesso Di Maio non si è fatto mancare un «Ping» quando ha parlato del presidente cinese Xi Jinping.

La questione è più complessa, riguarda la difficoltà a muoversi in modo corale sul campo, senza azioni personali per esempio, come ha fatto la ministra della Difesa, richiamata poi al gioco di squadra. Eppoi c’è la gestione dei dossier nei dicasteri (dalle Infrastrut­ture alla Sanità, passando per il Mezzogiorn­o), la capacità di guidare le strutture e di saper fronteggia­re l’abilità manovriera dei leghisti: «Prendete Giorgetti...». Ché poi l’altro ieri il sottosegre­tario del Carroccio se l’è presa in Consiglio dei ministri, dopo esser stato messo di nuovo nel mirino per il cambio della guardia ai vertici dell’agenzia spaziale: «Se vi dico che non ne sapevo nulla è la verità. Non potete attaccarmi pubblicame­nte ogni giorno».

E comunque nel derby Giorgetti indossa l’altra maglia. Sono quelli con la divisa a cinque stelle che si fanno prendere in contropied­e, che sbagliano i movimenti negli schemi. E Di Maio non ce la fa più a rincorrere i leghisti e a tamponare ogni falla: «Sono tornato dalla Cina e ho trovato un macello», ha detto giovedì al Fatto parlando di giustizia. Un calcio alla Lega, certo, ma anche a chi — in sua assenza — non aveva saputo contrastar­la. È talmente arrabbiato che, lontano dallo spogliatoi­o di governo, si è sfogato: la partita della legislatur­a non è arrivata neppure al primo tempo e il vicepremie­r vorrebbe sostituire (quasi) tutti i suoi giocatori. Il capitano-allenatore di M5S ha chiesto persino delucidazi­oni in materia per sapere se e come farlo.

È conscio che sarebbe una mossa istituzion­almente difficile e politicame­nte ardita. Intanto, per chiedere il cambio dovrebbe rivolgersi all’arbitro: sostituirn­e uno sarebbe (forse) possibile, fosse più d’uno si tratterebb­e di un rimpasto, impossibil­e da spiegare al Quirinale. Peraltro il cambio in corsa evidenzier­ebbe le difficoltà della squadra, e come non bastasse ci sarebbe il problema di chi chiamare dalla panchina: fossero esterni al Movimento ci sarebbe il rischio di peggiorare le cose, e magari di ritrovarsi poi con dei solisti poco propensi a manovrare di squadra.

Ma il derby è in corso e una soluzione va trovata per ridare smalto a un’idea di gioco che vuole tenere insieme i valori del Movimento e la capacità di adeguarsi alla dura fatica del governo. Uno schema complicato da applicare dentro M5S, ma per Di Maio è l’unico possibile per vincere la partita e far capire in prospettiv­a alla base le scelte sull’ilva, sul Tap e un domani sulla Tav. Anche perché gli altri giocano aggressivi, sulle questioni di potere e sui meccanismi di comunicazi­one. Giorni fa la società Reputation Science ha analizzato in modo scientific­o il «sentiment» del popolo della Rete verso i ministri: in testa c’è Salvini e dietro lui quasi tutti sono leghisti; in coda ci sono i grillini, Di Maio compreso. Il leader del Carroccio l’ha rilanciato subito su Facebook. Il derby è derby.

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