Corriere della Sera

Passo indietro o giunta «no logo», le vie per Virginia in caso di sconfitta No al perdono web

- Alessandro Trocino

ROMA «A casa. Se la condannano, non deve restare un minuto di più». Apparentem­ente, la posizione dei vertici M5S appare granitica, non soggetta a ripensamen­ti. Perché il codice dei 5 Stelle parla chiaro e se Virginia Raggi viene condannata si deve dimettere.

Difficile capire se per Di Maio e gli altri sia meglio o peggio la prospettiv­a di una condanna. Perché il percorso della Raggi è stato una sorta di via crucis. E a metà mandato non si vede ancora la luce. La città è in uno stato comatoso e l’amministra­zione è accerchiat­a. Molti errori sono stati fatti, dall’inner circle di «amicizie sbagliate» (vedi Marra e Lanzalone), al vorticoso turnover di assessori (se ne sono andati in otto); dal disastroso stato del manto stradale ai rifiuti di cui è invasa la città, fino agli autobus in fiamme di Atac, la cui sorte potrebbe essere decisa con il referendum radicale di domenica (oscurato e osteggiato) sulla liberalizz­azione del servizio. Nonostante tutto, non è mai mancato l’appoggio pubblico del Movimento, anche se Luigi Di Maio, per evitare guai, si è disinteres­sato della giunta romana. Se ne sono occupati, invece, Grillo e Casaleggio, che a più riprese hanno interloqui­to con la sindaca. Diversi assessori sono stati inviati da Genova e Milano, alcuni con esiti disastrosi (vedi Colomban). Attualment­e sono in forza nella Capitale, il supervisor­e Lorenzo Foti, stretto collaborat­ore di Beppe Grillo, inviato a luglio nella qualità di «finalizzat­ore politico». E il direttore generale Franco Giampaolet­ti, arrivato direttamen­te da Genova.

Gli scenari in caso di condanna sono sostanzial­mente tre. Primo, la sindaca fa le valigie e torna a casa. Secondo, chiede clemenza al Movimento e si dimette: ma prima del periodo cuscinetto di 20 giorni, si tiene un voto su Rousseau dove i militanti la «perdonano», in consideraz­ione del fatto che il reato contestato, il falso, è lieve e non è previsto dalla Severino come causa di esclusione dall’amministra­zione. Terzo, la sindaca perde l’appoggio del Movimento e raduna consiglier­i e assessori (non entusiasti all’idea di perdere posto e stipendio) e procede come se nulla fosse.

Dei tre scenari, è escluso il secondo, perché i 5 Stelle, fanno sapere: «Non ci pensiamo neanche a perdonarla, in caso di condanna. Non è prevista alcuna consultazi­one su Rousseau». Ma è molto improbabil­e anche il terzo, perché una sindaca già indebolita dalle difficoltà e non particolar­mente amata, difficilme­nte andrebbe avanti senza il sostegno del suo partito.

Il city manager Giampaolet­ti la difende: «Trovo poco sensato il suo processo e molto discutibil­e, come lo fu quello a Clinton sul caso Lewinsky». La sindaca ha ancora consenso? «Dico solo che il sindaco più amato d’italia è Nardella, andiamo bene. Con lui ho litigato furiosamen­te e le buche di Roma non sono così diverse da quelle di Firenze». Se fosse costretta a lasciare? «Sarebbe un vero peccato per la città. Fare il sindaco, comunque, è un mestiere che non farei neanche sotto tortura. È da masochisti, un vero martirio».

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Daniele Frongia, 45 anni, ex vicesindac­o e attuale assessore allo Sport della Capitale
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Carla Raineri, 63 anni, ex capo di gabinetto della giunta Raggi e testimone al processo
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Il documento Il codice di comportame­nto per gli eletti 5 Stelle firmato anche da Virginia Raggi prima del voto 2016: c’è la possibilit­à di dimissioni da indagati

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