Passo indietro o giunta «no logo», le vie per Virginia in caso di sconfitta No al perdono web
ROMA «A casa. Se la condannano, non deve restare un minuto di più». Apparentemente, la posizione dei vertici M5S appare granitica, non soggetta a ripensamenti. Perché il codice dei 5 Stelle parla chiaro e se Virginia Raggi viene condannata si deve dimettere.
Difficile capire se per Di Maio e gli altri sia meglio o peggio la prospettiva di una condanna. Perché il percorso della Raggi è stato una sorta di via crucis. E a metà mandato non si vede ancora la luce. La città è in uno stato comatoso e l’amministrazione è accerchiata. Molti errori sono stati fatti, dall’inner circle di «amicizie sbagliate» (vedi Marra e Lanzalone), al vorticoso turnover di assessori (se ne sono andati in otto); dal disastroso stato del manto stradale ai rifiuti di cui è invasa la città, fino agli autobus in fiamme di Atac, la cui sorte potrebbe essere decisa con il referendum radicale di domenica (oscurato e osteggiato) sulla liberalizzazione del servizio. Nonostante tutto, non è mai mancato l’appoggio pubblico del Movimento, anche se Luigi Di Maio, per evitare guai, si è disinteressato della giunta romana. Se ne sono occupati, invece, Grillo e Casaleggio, che a più riprese hanno interloquito con la sindaca. Diversi assessori sono stati inviati da Genova e Milano, alcuni con esiti disastrosi (vedi Colomban). Attualmente sono in forza nella Capitale, il supervisore Lorenzo Foti, stretto collaboratore di Beppe Grillo, inviato a luglio nella qualità di «finalizzatore politico». E il direttore generale Franco Giampaoletti, arrivato direttamente da Genova.
Gli scenari in caso di condanna sono sostanzialmente tre. Primo, la sindaca fa le valigie e torna a casa. Secondo, chiede clemenza al Movimento e si dimette: ma prima del periodo cuscinetto di 20 giorni, si tiene un voto su Rousseau dove i militanti la «perdonano», in considerazione del fatto che il reato contestato, il falso, è lieve e non è previsto dalla Severino come causa di esclusione dall’amministrazione. Terzo, la sindaca perde l’appoggio del Movimento e raduna consiglieri e assessori (non entusiasti all’idea di perdere posto e stipendio) e procede come se nulla fosse.
Dei tre scenari, è escluso il secondo, perché i 5 Stelle, fanno sapere: «Non ci pensiamo neanche a perdonarla, in caso di condanna. Non è prevista alcuna consultazione su Rousseau». Ma è molto improbabile anche il terzo, perché una sindaca già indebolita dalle difficoltà e non particolarmente amata, difficilmente andrebbe avanti senza il sostegno del suo partito.
Il city manager Giampaoletti la difende: «Trovo poco sensato il suo processo e molto discutibile, come lo fu quello a Clinton sul caso Lewinsky». La sindaca ha ancora consenso? «Dico solo che il sindaco più amato d’italia è Nardella, andiamo bene. Con lui ho litigato furiosamente e le buche di Roma non sono così diverse da quelle di Firenze». Se fosse costretta a lasciare? «Sarebbe un vero peccato per la città. Fare il sindaco, comunque, è un mestiere che non farei neanche sotto tortura. È da masochisti, un vero martirio».