UN PAESE ISOLATO PRIGIONIERO DI LOGICHE SOLO ELETTORALI
Si avverte una sconnessione evidente tra il modo in cui si racconta la crisi italiana nel nostro Paese, e quello prevalente all’estero. La narrazione per così dire «autarchica» accredita un cambiamento virtuoso in atto; una sfida all’europa dalla quale l’italia riemergerà in salute economica; e una maggioranza tra Movimento 5 Stelle e Lega destinata a offrire ricette vincenti all’intero continente. L’elettoralismo delle loro ricette viene negato: si tratti di reddito di cittadinanza dai contorni assistenziali e confusi, o di un decreto sulla sicurezza che favorisce una «cultura delle armi» tale da sconcertare perfino il New York Times.
Fuori dai nostri confini, invece, l’italia appare una nazione isolata. Prigioniera di un atteggiamento velleitario e suicida. E destinata a scendere molto presto nel girone dei Paesi non solo vigilati speciali, ma sull’orlo del collasso finanziario. Gli scenari non riguardano l’immediato: anche perché le Europee di maggio proiettano ombre strumentali non solo sugli attacchi di Luigi Di Maio e Matteo Salvini alla Commissione di Bruxelles, ma anche su quelli contro il governo gialloverde.
La domanda è che succederà di qui a quel voto; e dopo. La divergenza tra le promesse e quanto è stato fatto finora si sta allargando. Non bastano i tagli ai vitalizi o la promessa di «ridurre i costi della politica per aiutare le vittime del maltempo», fatta ieri dal premier Giuseppe Conte, a riempire il vuoto. L’impressione è che tuttora le mosse delle due forze legate dal «contratto di governo» guardino alle urne; e mirino più a prendere o anche solo a non perdere consensi, che a impostare una politica di ripresa.
Sostenere, come il ministro dell’economia Giovanni Tria, che è «inutile parlare di manovre correttive perché non siamo la Grecia» è vero e insieme autoconsolatorio. In realtà, nei consessi internazionali la crisi italiana è in primo piano. E quando il vicepremier del M5S, Di Maio, dice di non prevedere una multa europea per la manovra finanziaria di Roma, rafforza la sensazione di una sfida che sa di azzardo.
Il suo è un atto di fede, a meno che non si prepari a ricalibrare le misure annunciate finora. Prospettiva improbabile, almeno a sentire i vertici del governo e un Salvini convinto che una Commissione «con gli scatoloni e le valigie pronte» non possa «dare lezioni». Il problema è che l’allarme non proviene solo da lì. Quirinale, Bce, Bankitalia, Istat mandano segnali univoci: non si può escludere una recessione. Il calcolo di M5S e Lega è che l’opinione pubblica se ne accorga dopo le elezioni. Ma il danno sarebbe già stato fatto. È un gioco ad alto rischio.