«Desirée vada in comunità» Ma il tribunale disse no tre giorni prima della morte
Roma, la richiesta sollecitata dai servizi sociali e la famiglia
Tre giorni prima che Desirée Mariottini entrasse di nuovo nel covo dei pusher di via dei Lucani per uscirne cadavere 12 ore dopo, un giudice del tribunale dei Minori si era opposto al suo collocamento coatto in una comunità di recupero per tossicodipendenti. La misura era stata chiesta dalla procura minorile su sollecitazione dei servizi sociali di Cisterna di Latina e della famiglia della 16enne.
Fermata a inizio ottobre per un presunto episodio di spaccio (pasticche di Rivotril), Desirée era stata invitata ad entrare in comunità. Una decisione che per la legge può essere solo volontaria, salvo che ci sia un tribunale a deciderlo. Ma, secondo il giudice, vagliata anche la disponibilità delle strutture, non c’era urgenza per disporre il ricovero.
L’episodio è stato ricostruito dai pm della procura capitolina, che accusano quattro cittadini africani di omicidio volontario pluriaggravato, violenza sessuale e spaccio. Il primo di loro, Chima Alinno, nigeriano, è comparso ieri davanti al tribunale del Riesame. «Abbiamo chiesto invano di avere in anticipo la traduzione dell’ordinanza per il mio cliente che non parla italiano», lamenta l’avvocato Pina Tenga.
Tra i nuovi atti depositati (i rilievi della scientifica nel palazzo abbandonato, i nuovi verbali dei testimoni, la deposizione del consulente tossicologo) particolare rilievo hanno le intercettazioni ambientali fatte in questura dove Muriel, Noemi, Giovanna e Narcisa, le quattro ragazze che hanno incrociato Desirée, hanno a lungo parlato di quanto successo, senza sapere di essere ascoltate.
I racconti sono frammentari, a volte sconclusionati, le voci si sovrappongono ma tra risatine e momenti di pietà umana emergono sprazzi di verità e descrizioni da brividi: «Quelli manco sapevano che l’avevano stuprata, gliel’ho detto io. “Pezzi de m... state tutti a fumà crack, guardate che colore c’ha sta pischella”», dice Giovanna. «Potevano limitarsi a fare sesso, basta e ciao. E invece no, hanno dovuto giocà così co la vita de na ragazzina di 16 anni. Ma poteva tenè pure 30, non si fa», aggiunge Noemi. Muriel ricorda di aver pensato: «Se questa more, annamo tutti in mezzo alla m...». Narcisa dice che ha visto i genitori di Desirée per il riconoscimento del cadavere e di essersi sentita male per il dispiacere: «Una volta entrata là — aggiunge — non ne è più uscita». Parla di metadone e pasticche. Noemi si chiede: «Magari era consenziente all’inzio, ma poi dopo? Perché ormai era rincoglionita e quelli invitano gli amici a fare sesso con lei. Vai a capire quando ha smesso di essere consenziente».
Nei loro interrogatori le clienti del covo si sono tutte attribuite il tentativo di portare in salvo la 16enne, a tratti anche accusandosi a vicenda. Non sempre sono risultate credibili. Muriel dice che le sta venendo l’ansia, che è preoccupata di aver potuto riferire qualcosa di sbagliato: «Ho rivestito Desirée, non potevo lasciare una ragazzina in quello stato davanti a uomini». Per quanto utili alle indagini, le quattro restano sotto osservazione del procuratore aggiunto Maria Monteleone e del pm Stefano Pizza per il mancato soccorso se non addirittura il favoreggiamento. Noemi ad esempio dice di aver detto alla ragazza di sedersi e non piagnucolare «perché così i ragazzi sicuro non ti fanno fumà (crack, ndr)» e che doveva «far fare a quelli i loro porci comodi» e poi avrebbe avuto la dose.
Insieme descrivono Desirée in astinenza. Giovanna spiega che erano 4 o 5 mesi che la 16enne si faceva di quelle sostanze, ma che «il suo problema era che non si sapeva bucare». E Noemi: «Quella ragazzina chiedeva aiuto con l’anima, ve lo dico io».