Corriere della Sera

«MIO BISNONNO D’ANNUNZIO» E UNA GUERRA SBAGLIATA

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Caro Aldo, sono il pronipote di Gabriele d’annunzio. Mi permetta di suggerirle un percorso di lettura. Prima un testo minore, Giovanni Episcopo, una scrittura piana e inaspettat­a che nasconde tutti i fuochi successivi. Poi si immerga ne L’innocente, un dramma violento, truce ed ossessivo. E si lasci conquistar­e dalla infinita dolcezza dell’alcyone. Forse il sentimento nella poesia di d’annunzio le regalerà una maggiore intimità con i suoi stessi sentimenti. Egli amava la nostra Patria e volle una guerra che si voleva rapidissim­a e fu invece un eclisse. Ma fu un eroe moderno. E mi creda. Mai, mai, mai fu assassino. Conosco Gabriele da molti anni, negli splendidi o pessimi dettagli. Ma l’amore per la vita restò un valico insormonta­bile, sino alla fine, sino alla scrittura del suo ultimo Diario Segreto, il canto di un uomo vinto, aggrappato al futuro, alla nuova lingua che stava crescendo e che avrebbe voluto attecchiss­e sul suo tronco ormai arido. Ma uccidere no. Non gli faccia questo torto. Gabriele d’annunzio è ancora da scoprire, e troveremo forse solo del bene. Perché del male si è scritto anche troppo. Federico d’annunzio Caro Federico,

Grazie per le sue parole signorili e cortesi, così distanti da quelle volgari e ingiuriose di chi ha sollevato la questione. Non discuto la grandezza letteraria di suo bisnonno, né l’ho mai definito assassino. È oggettivo però che d’annunzio provocò la morte di centinaia di fanti nell’assalto impossibil­e al castello di Duino, e più in generale ebbe un ruolo importante nel trascinare l’italia nel più spaventoso conflitto che l’umanità avesse mai conosciuto. Altro che «guerra rapidissim­a»; nel maggio 1915 la guerra si era già rivelata una spaventosa carneficin­a, di cui non si vedeva la fine. Resto convinto che prendervi parte fu un errore, che provocò 650 mila morti, patimenti inauditi, e gravi conseguenz­e politiche. Questo non impedisce né di celebrare il sacrificio dei nostri nonni, né di riconoscer­e il carattere fondativo che quella guerra finì per avere. Su questo punto sono stato garbatamen­te criticato da Eugenio Scalfari, secondo cui «una guerra non fa una nazione». Si potrebbe sostenere il contrario: gli Stati nazione sono nati quasi sempre dalle guerre. L’italia invece è nata dalla cultura, dall’arte, dalla bellezza. Ma il Piave è un elemento dell’identità nazionale. La Grande Guerra fu la prima prova dell’italia unita. Potevamo essere spazzati via; dimostramm­o di essere un popolo, una nazione.

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