Corriere della Sera

Bernd Koschland, il bambino salvato

- di Paolo Lepri

AMargate, nel Kent, iniziò la sua seconda vita. Bernd Koschland aveva otto anni, ora ne ha ottantaset­te. Era uno dei diecimila bambini ebrei che furono salvati dalla follia nazista e accolti nel Regno Unito grazie al Kindertran­sport, l’operazione umanitaria avviata dopo la «Notte dei cristalli». Un viaggio che comincia nel fuoco delle sinagoghe in fiamme.

In quella città proiettata verso il mare — dove William Turner tornava spesso per dipingere le sue tempeste — nel 1939 veniva proiettato Il mago di Oz. «Era la prima volta che andavo al cinema», ricorda Koschland. In quel film — la cui forza, come ha scritto Salman Rushdie, consiste nel mostrare «l’inadeguate­zza degli adulti, anche degli adulti buoni, e nel farci vedere come la debolezza dei grandi costringa i bambini a prendere in mano il loro destino» — Judy Garland viene trasportat­a da un tornado in un mondo fatato. Niente in comune con il pellegrina­ggio nell’orrore compiuto dal piccolo profugo. Tranne la necessità di prendere il destino nelle mani.

I genitori erano restati a Fürth, in Baviera, dove il municipio è una riproduzio­ne ottocentes­ca del Palazzo Vecchio fiorentino. Bernd non li rivide mai. Alla fine della guerra seppe che erano morti entrambi, deportati e uccisi in Lettonia o in Polonia. Fu travolto da una sensazione di vuoto, di incredulit­à, di impotenza. In un’intervista al Guardian ha detto di aver cominciato a sentire, negli anni successivi, i «duri colpi» della realtà: «Se gli altri dicevano “noi andiamo a trovare mamma e papà” mi rendevo conto che si trattava di qualcosa che io non potevo fare». Lode della semplicità, direbbe Bertolt Brecht.

Bernd, che ha studiato da rabbino, è uno dei sei testimoni che raccontano le loro storie nella mostra Rememberin­g the Kindertran­sport apertasi ieri al Jewish Museum di Londra. Qualche tempo fa, parlando con Internatio­nal Business Times, sottolineò la necessità di «fare di più» nel campo dell’accoglienz­a ai disperati che fuggono dalle guerre. La pensa così anche la scrittrice americana Lore Segal, autrice di Other People’s Houses, un’altra bambina del Kindertran­sport. Sono loro a cui oggi chiediamo aiuto per evitare che la nostra civiltà naufraghi come le navi che Turner immaginava guardando verso l’orizzonte.

@Paolo_lepri

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