Corriere della Sera

Effetto vinile e pelle tagliata al vivo Fay, rilancio di un marchio storico

Lo stilista Arthur Arbesser: qualità e confort, è questo che interessa ai giovani

- Maria Teresa Veneziani

Il maxy cappottone dei pompieri, ma in Pvc giallo spalmato effetto vinile. Quasi uguale per lui e lei, se non fosse per il dettaglio gros grain che lo rende un po’ prezioso. Il trench Humphrey Bogart in pelle azzurro polvere, tagliato al vivo. La maglieria che sembra tessuta con il filo da pesca in nylon. Soffia un vento giovane su Fay. È quello portato da Arthur Arbesser, designer 36enne austriaco — occhi celesti un po’ alla Harry Potter — che ha scelto Milano per amore della moda italiana (inizi da Giorgio Armani, per 7 anni, dopo gli studi alla St. Martin). «Nella moda in generale è sorpassata l’idea di lavorare per una generazion­e sola», racconta, facendo il punto sul suo primo anno di direzione creativa. Quasi ogni settimana prende il treno e va in azienda, a Civitanova Marche. La cosa che l’ha colpita di più? «Le persone. Non mi aspettavo di trovare gente tanto orgogliosa. E poi la qualità. Ogni pezzo è sottoposto a otto tipi di lavaggi e se non supera questo test non va in produzione. Penso si tratti di uno dei pochi brand che offrono una garanzia sui propri capi».

Negli Anni 80 Andrea Della Valle durante un viaggio negli Usa scopre il brand che ha un’unica giacca come quella dei pompieri americani, lo compra e lo porta in Italia. La quattro ganci segnerà il cambiament­o dello stile dei profession­isti che rinunciano al cappotto blu. Come si rinnova un brand storico? «Non devi perdere il cammino. Sono capi molto solidi, che stilistica­mente e tecnicamen­te funzionano. Alla cerata aggiungi un’altra tasca beige e sembra una rivoluzion­e». «È un brand più riconosciu­to di quando si immagini. È un mondo nel quale mi ritrovo perché ho un padre che lavorava in banca», ride Arthur cresciuto in un ambiente anche artistico, «i nonni erano pittori». In Italia racconta di aver scoperto Fausto Melotti, «artista elegantiss­imo e super raffinato». E da Armani che cosa ha appreso? «Che per essere soddisfatt­o devi controllar­e sempre tutto, fino all’etichetta».

I tessuti della giacche «utility dal gusto perbene» vengono dal mondo unisex (l’uomo al momento vale 60%), ma la vestibilit­à resta diversa. «Idem i trattament­i, il check in bianco e nero nella donna è spalmato, così in negozio si crea subito il colpo d’occhio», sottolinea Arbesser alla sua prima esperienza sull’uomo.

Le collaboraz­ioni tra un marchio storico e un designer sono il diktat della nuova moda. Quali sono gli obiettivi che vi siete posti con l’imprendito­re? «Non vogliamo perdere i clienti di sempre ma guardiamo alle nuove generazion­i molto sensibili ai valori di qualità e confort. I giovani sono tornati ad apprezzare i capi senza tempo. E anche io, crescendo, riscopro il valore della praticità. So che per un designer sembra strano, e comunque posso scatenare la creatività con la mia sfilata». A Milano Arbesser ha trovato anche l’amore. Il suo compagno fa il chirurgo ma ad ogni presentazi­one si prende il giorno di ferie e con gentilezza accoglie gli ospiti. «Conviviamo dal 2006. Il matrimonio? Al momento non ne sentiamo la necessità».

Il capo simbolo

Il classico giaccone dei pompieri «quattro ganci» rivisitato nei tessuti e nei colori.

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 ??  ?? In alto, dal back stage, il trench in pelle. Sopra, Arthur Arbesser al lavoro. A destra, il maxy coppotto in Pvc
In alto, dal back stage, il trench in pelle. Sopra, Arthur Arbesser al lavoro. A destra, il maxy coppotto in Pvc
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