Corriere della Sera

U Mozart-da L’UMANITÀ DI MOZART

L’appuntamen­to Il maestro apre la stagione del San Carlo di Napoli con «Così fan tutte», unico suo impegno operistico della stagione in Italia. La regia è della figlia Chiara. «La persona giusta per portare in scena il mondo di Amadeus con rispetto» MUTI:

- di Valerio Cappelli

n gioco di inganni che richiede adesione intellettu­ale, il titolo più controvers­o della trilogia italiana di Ponte. Riccardo Muti dice che Così fan tutte, insieme con il Falstaff, è l’opera che porterebbe sull’isola deserta. È l’apertura di stagione del San Carlo di Napoli, il 25; è al momento l’unico impegno operistico del grande direttore in Italia; è la terza volta che lavora con sua figlia Chiara alla regia.

Maestro, è il suo quinto «Così fan tutte»: il primo?

«Nel 1979, mentre ero in tournée in Usa con la Filarmonic­a di Londra. Un giorno alle sette del mattino mi telefonò Karajan per propormi il Così fan tutte da fare tre anni dopo

d

Lo spirito in comune Le conclusion­i sull’animo umano sono le stesse del «Falstaff»: senza Mozart non ci sarebbe Verdi

al Festival di Salisburgo. Ero titubante, non l’avevo mai diretto ed era un’opera legata ad anni di trionfo di Karl Böhm. Gli risposi: è un suo invito, sua la responsabi­lità. Accettò. Quel successo diede una spinta straordina­ria alla mia carriera internazio­nale. C’erano in giro i giganti del podio, un’opera che si riteneva di proprietà culturale austro-germanica, spesso non si coglievano le sottigliez­ze del libretto di Da Ponte. Io partii dalle parole, che danno la scintilla alla musica e non viceversa. Lo stesso percorso lo aveva fatto molti anni prima Guido Cantelli alla Piccola Scala».

Lo si considera un testo «matematico», difficile.

«Da Ponte raggiunge vette di alta poesia, pensiamo soltanto a “Soave sia il vento, tranquilla sia l’onda”. Il testo è difficile per chi non capisce la lingua italiana, o per il cittadino italiano che non approfondi­sce i giochi di parole. C’è una lettura “ufficiale” che si presenta nel suo candore, ma le stesse parole possono significar­e altre cose e diventano piene di allusioni erotiche. Quando Fiordiligi e Dorabella riconoscon­o gli amanti, e di aver commesso un grave errore, dicono: Il mio fallo tardi vedo. Oppure Don Alfonso: Folle è quel cervello che sulla frasca ancor vende l’uccello. Non è che il testo abbia volgarment­e questi doppi sensi, è un gioco di estrema leggerezza ed eleganza, il segreto è di comprender­e il sublime che nasce da situazioni apparentem­ente banali. Per questo è l’opera più misteriosa ed enigmatica di Mozart. Penso alla finta partenza dei due giovani che diventa un fatto profondo, e cioè la partenza dalla vita. Il finale è una consideraz­ione negativa sull’umanità».

Come nel Falstaff.

«Esatto, sono occhi critici sulla condizione umana, su chi siamo veramente. Non c’è niente di misogino, avrebbe dovuto chiamarsi “Così fan tutti”, perché tutti e quattro i giovani sono colpevoli e alla fine gabbati, come dirà Verdi concludend­o la sua esistenza. Le due opere hanno in comune questo triste sguardo sull’umanità, espresso con un sorriso lieve. Senza Mozart non ci sarebbe stato Verdi, e senza “Così fan tutte” non ci sarebbe stato “Falstaff”».

Ci sono citazioni di Metastasio e Sannazaro.

«E prese in giro di certi autori. Mozart non amava Gluck, che parla di miti e mondi epici, lo trovava retorico. Il punto di vista di Mozart, come di Verdi, è l’uomo: siamo noi, uomini che si specchiano negli uomini. È un’opera che irritò Beethoven, che era un moralista, e Wagner, il che è curioso».

Si dovette aspettare il ’900

e Strauss per rivalutarl­a.

«Mozart muore nel 1791, la Scala fu inaugurata nel 1778. Mozart non ebbe mai il piacere, in vita, di vedere rappresent­ata l’opera alla Scala».

Lavorare con sua figlia?

«Da tempo sognavo di fare un’opera con la regia di Chiara, che ha studiato alla scuola di Strehler, da cui ha assorbito il concetto della Bellezza e conosce a memoria il testo. Essendo il titolo meno prorompent­e dal punto di vista immediato, è quello che si presta a soluzioni registiche le più improbabil­i e infami. Chiara è la persona giusta per creare un mondo mozartiano che sia moderno e rispettoso».

È una coproduzio­ne con l’opera di Vienna.

«Tornerò alla Staatsoper nel 2020, a dodici anni proprio dal “Così fan tutte”. I teatri di Stato hanno il vantaggio di avere un grande repertorio, per cui si possono mettere in scena una sessantina di titoli dall’oggi al domani, e si va all’opera come al cinema. Lo svantaggio è che certe vecchie produzioni, senza essere provate, diventino fatalmente routine. Ma parliamo di Vienna, e di una grande realtà culturale».

 ??  ?? SintonieIl Maestro Riccardo Muti al San Carlo con la figlia Chiara, regista del «Così fan tutte» in scena dal 25 (foto Francesco Squeglia)
SintonieIl Maestro Riccardo Muti al San Carlo con la figlia Chiara, regista del «Così fan tutte» in scena dal 25 (foto Francesco Squeglia)
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Il debuttoL’8 marzo 2019 il mezzosopra­no Cecilia Bartoli canterà per la prima volta in assoluto al Teatro San Carlo: proporrà un recital di arie del ’700-’800

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