Corriere della Sera

Da Zingaretti a Di Battista, chi temeva il voto sorride

- di Tommaso Labate

ROMA «Scusa ma questo chi ti ha suggerito di chiedermel­o? Forse i miei avversari al congresso, che non vedono l’ora di liberarsi della mia candidatur­a?». Per gli ultimi trenta interminab­ili giorni, da quando è partito il conto alla rovescia finale verso la sentenza del processo che vedeva imputata Virginia Raggi, Nicola Zingaretti ha dovuto resistere dietro le quinte a un pressing invisibile a occhio nudo, eppure asfissiant­e. A tutti gli interlocut­ori che gli chiedevano di una sua possibile discesa in campo in caso di elezioni anticipate a Roma, il governator­e rispondeva con un sorriso caustico. «Quelli non vedono l’ora che accada…». Ecco, da ieri per Zingaretti è finito questo tormento. Con l’assoluzion­e della Raggi, tutto rimane come prima. Il tentativo che tanti nel Pd avevano già attribuito alle intenzioni segrete di Matteo Renzi e dei renziani, e cioè premere affinché il governator­e del Lazio si ritirasse dal congresso del Pd in cambio del sostegno compatto a una sua candidatur­a per il Campidogli­o, non comincia nemmeno. Il partito di quelli che ieri hanno accompagna­to la lettura della sentenza della Raggi con un sospiro di sollievo va oltre Zingaretti. È trasversal­e, molto trasversal­e. Anche Alessandro Di Battista, a sentire il termometro dei Cinque Stelle ortodossi della Capitale, era terrorizza­to dalle eventuali dimissioni della sindaca. Il piano di un viaggio di solo ritorno dal Centroamer­ica alla politica nazionale, per il leader dell’ala movimentis­ta dei pentastell­ati, si sarebbe complicato a causa dei tanti che gli avrebbero chiesto di impegnarsi in prima persona su Roma. Forse sarebbe riuscito a resistere a queste sirene, forse no. Di certo, candidando­si a sindaco per il dopo-raggi, anche Di Battista avrebbe consumato quel secondo mandato che per i Cinque Stelle rappresent­a il massimo dell’impegno istituzion­ale possibile. Con tanti saluti tanto al Parlamento, quanto a Palazzo Chigi. Per cercare quelli che dal minuto successivo alla lettura della sentenza soffrono, e tanto, basta bussare in casa della Lega. Matteo Salvini aveva pronto un piano per aggiungere il Campidogli­o ai tanti successi degli ultimi mesi. «Se a Roma si vota, ci potrebbe essere un candidato nostro», aveva spiegato ai leghisti del Lazio un mese fa a Latina. La visita al quartiere San Lorenzo per rendere omaggio alla memoria della giovane Desirée Mariottini era stata letta come il primo tassello di una lunga campagna elettorale «legge e ordine» in cui il leader leghista avrebbe fatto di tutto per imporre al centrodest­ra una candidatur­a «verde». Probabilme­nte quella del ministro Giulia Bongiorno. Ma quella campagna elettorale non inizierà. Non ora, non qui.

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