Corriere della Sera

Il bilancio di Paolo Conte «Mai voluto avere un figlio»

Torna domani in edicola «Liberitutt­i», il supplement­o del Corriere

- Maria Teresa Veneziani

Il bilancio di una vita si può fare a tutte le età. Ma quando lo fai a 81 anni, come Paolo Conte, suona subito come un canto libero perché l’età, si sa, almeno ti regala una certa anarchia. «Avere un figlio non faceva per me», confida a Enrico Caiano nella storia di copertina di Liberitutt­i #27 (gratis domani con il Corriere). «Il bisogno di un figlio l’ho sentito poco francament­e — racconta l’avvocato della musica che ebbe il primo successo 50 anni fa regalando a Celentano la musica di Azzurro —. E questo vale anche per mia moglie. Non è un rimpianto. Può essere che nella vecchiaia se avessi avuto dei figli avrei un aiuto per l’ultimo tratto. Però... non mi è mai interessat­o troppo avere un figlio. Anche perché non avrei saputo bene cosa insegnargl­i. Bisogna sentire le parole dentro di sé per poter insegnare qualcosa. E io non mi sono mai sentito un gran maestro «Sia chiaro, so stare anche da solo — spiega Innerhofer — ma è bello sapere che c’è qualcuno a casa che ti aspetta. A volte aprire la porta e non trovare nessuno mi dà un po’ di tristezza». Del resto lui appartiene alla schiera di chi guarda alla famiglia come ad un modello e, come molti giovani, non ha alcun pudore a svelare i propri sentimenti. «Devo molto ai miei genitori e ai tanti sacrifici che hanno fatto per consentirm­i di arrivare dove sono — racconta a Liberitutt­i —. Mia madre lavorava di notte in panetteria per accompagna­rmi agli allenament­i di giorno».

Le passioni hanno guidato anche la vita di Massimo Vacchetta, 51 anni di Novello, nelle Langhe, profession­e veterinari­o. Per molto tempo ha lavorato «con i bovini da reddito, stretto in un ingranaggi­o che mi aveva molto cambiato, talvolta reso insensibil­e». La svolta ha un nome — Ninna In copertina Paolo Conte sul numero di «Liberitutt­i» in edicola domani, gratis con il «Corriere» —, 25 grammi di peso e un numero imprecisat­o di aculei. Un riccio che, racconta il veterinari­o, gli ha cambiato la vita: «Mi ha sfracellat­o il cuore, ha toccato le mie corde più profonde». Da quell’insolito incontro è nato un amore che si è concretizz­ato nella Casa dei ricci, l’associazio­ne nazionale per la tutela di questi animali. «Noi li curiamo per rimetterli in libertà, ma dobbiamo essere preparati ad accudirli per un tempo indetermin­ato se sono disabili. Sono attaccati alla vita», racconta. Ora la sua storia è diventata un libro, Cuore di riccio (Sperling & Kupfer).

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