George Mallory e l’everest, duello tra giganti
Esce per la prima volta in italiano, edito da Hoepli, il diario dell’alpinista britannico morto sull’himalaya nel 1924
Il mito non si offuscò neppure quando una spedizione americana scoprì il suo corpo congelato a oltre ottomila metri d’altezza, nell’estate del 1999. Anzi, se possibile, George Mallory assurgeva più eroico e glorioso tra i grandi dell’alpinismo.
A 75 anni dalla sua scomparsa con il compagno Andrew Irvine a poche centinaia di metri dalla cima dell’everest, l’antico mistero si faceva più intrigante che mai: la morte li aveva sorpresi sulla via del ritorno dopo aver raggiunto la vetta, oppure mentre ancora stavano salendo? Tra i vestiti di Mallory non c’era la macchina fotografica, che forse avrebbe aiutato a trovare una risposta, se si fosse riusciti a sviluppare le immagini. D’altro canto non venne neppure rinvenuta una piccola foto della moglie Ruth, che lui diceva di voler lasciare in vetta.
Da allora sono in tanti a ritenere che probabilmente i due non riuscirono mai a coronare il loro sogno. Ma a noi piace mantenere vivo il dubbio. Anche perché Mallory era davvero pronto per l’impresa.
Nei suoi diari, già noti al pubblico anglosassone e adesso pubblicati per la prima volta in italiano da Hoepli con il titolo Everest, la montagna di una vita, racconta la sua ossessione per quella vetta. Aveva tentato nel 1921 e l’anno dopo. Quella del 1924 doveva essere la terza volta decisiva. La sua prosa ricca e profonda, ben coltivata come professore di storia a Cambridge, descrive nel dettaglio le modalità delle spedizioni di allora, i rapporti con i portatori locali, ma anche la ricerca della via di salita migliore, i lunghi trekking d’avvicinamento, assieme ad una miriade di osservazioni sul comportamento del corpo umano costretto a sforzi estremi alle alte quote, che sono tutt’ora alla base degli studi sull’acclimatamento.
In appendice è pubblicato anche un suo celebre saggio sull’alpinismo come arte, che è in effetti un’ode appassionata a questi «banditi un po’ folli», che mettono a repentaglio le loro vite per scoprire, inventare e costruire vie in montagna, proprio come gli artisti concepiscono i loro lavori.