Milano e la fabbrica: Moravia neorealista nel melodramma voluto da Pirelli
Nel 1947 l’autore romano scrisse un soggetto cinematografico per l’industriale. Non divenne mai film, ma oggi rivivrà in una serata alla Bicocca
«L’ aria grigia e fredda di un’alba della fine di autunno. La terra di un orto con i solchi e le piante allineate in fila. Una grossa mano rugosa si tende verso le zolle a strappare le erbacce. Un paio di grosse scarpe. Un paio di pantaloni da operaio. Finalmente la mano svella dalla terra una cipolla e vediamo la figura intera dell’uomo. È un vecchio operaio, quadrato, massiccio, con il viso pieno di rughe, i capelli bianchi, vestito di una vecchia e consunta tuta». Non sembra un déjà vu?
Magari in bianco e nero. Potrebbe essere l’inizio di un film neorealista. Sullo sfondo s’intuisce la skyline di una periferia sbiadita, Milano chissà, e qualche ciminiera sfumata nella nebbiolina degli anni Cinquanta. Sembra. E, di fatto, lo è: sono le prime righe di un prezioso soggetto cinematografico che Alberto Moravia scrisse con tre sceneggiatori, Alfredo Guarini, Massimo Mida e Gianni Puccini, a richiesta di Alberto Pirelli, nel 1947. L’industriale voleva festeggiare così il settantacinquesimo anniversario dell’azienda e aveva anche già scelto il regista: Roberto Rossellini, reduce dai successi di Roma città aperta e Paisà. Anche il titolo era pronto: Questa è la nostra città. Un racconto dolce-amaro sulla ripresa economica dell’italia nell’immediato dopoguerra. Un film che nessuno ha mai visto, perché non è mai stato girato.
Le vicende dell’immaginaria famiglia Riva, origini contadine e futuro in fabbrica, sono rimaste in un dattiloscritto di 109 facciate, custodito nell’archivio della Pirelli; e, anche se non si sarebbe più trasformato in pellicola, ha conservato la freschezza delle impressioni che Moravia, romano, deve avere registrato esplorando i reparti dello stabilimento milanese alla Bicocca, osservando sul cancello l’andirivieni degli operai in bicicletta, tra i carrettini di frutta e le bancarelle dei venditori di sigarette: «Sono due fiumane, il turno di notte che esce e quello di giorno che entra, che s’incontrano, s’intersecano, si incrociano e si danno il cambio» descriveva, cercando tra i loro volti ispirazione per i suoi personaggi, «il nonno», «il padre», «la madre» e Ida, Carlo, Angela, Vera, Franco. Che erano gli eroi buoni, talvolta le vittime, di una città ferocemente intenzionata a ricominciare a vivere, a sfamarsi davvero, a divertirsi. O ancora: il meccanico «Torello», il magazziniere «Miliardo», «Delfo», «Settantadue», uno degli operai più anziani, «Giobbe», il più paziente, e l’«americano», che aveva lavorato alla Pirelli di Buenos Aires.
Cesare, no. Cesare è l’altra faccia di quella Milano indolenzita e speranzosa. Rappresenta il giro di chi vuole arricchirsi in fretta, con qualunque mezzo; il giro delle ville e delle jeep, dei loschi traffici e delle trappole per fanciulle ingenue e troppo ambiziose. Ma protagonista assoluta è la fabbrica, i cui operai hanno soprannomi come usavano, fino a pochi mesi prima, nelle formazioni partigiane in montagna; e le cui operaie approfittano di un’interruzione di corrente elettrica (e dell’attività) per correre sotto una pergola con l’insegna «Al ritrovo dei pirelliani», a imparare «i balli più moderni venuti dall’america».
Dopo oltre 70 anni di sonno, il melodramma irrealizzato di Moravia troverà le voci di due attori, Marina Rocco e Rosario Lisma; avrà il suo pubblico e il suo palcoscenico, a pochi passi da dove è stato ambientato, nell’auditorium del quartier generale della Pirelli, alla Bicocca, oggi alle 19: «Si parla della Milano industriale fra memoria e contemporaneità — annuncia Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli —. Lo spettacolo, organizzato con il Teatro Franco Parenti e la collaborazione dell’università degli Studi Milano-bicocca, comincia con la ricetta del risotto di Carlo Emilio Gadda. Poi avremo tre blocchi di letture. L’idea di fondo è che la trasformazione di Milano è permanente. Per questo i racconti di Milano non sono mai amarcord. Come diceva Benedetto Croce, ogni storia è sempre storia contemporanea. Milano è certamente quella di Carlo Cattaneo e di Elio Vittorini, ma la tesi di Croce le si adatta perfettamente».
L’archivio riserverà altre sorprese alla platea, come la lettura di alcuni brani d’autore tratti dai 131 numeri (digitalizzati) della storica rivista «Pirelli», cui collaborarono, tra il 1949 e il 1972, Eugenio Montale, Vittorio Sereni, Umberto Eco, Giorgio Scerbanenco, Alda Merini, Alberto Savinio, Ottiero Ottieri, Giorgio Fontana. E un insuperabile Dino Buzzati, con la sua Visita con tradimento a una mostra di francobolli, al grattacielo di piazza Duca d’aosta. Le voci del passato si alterneranno a quelle di giornalisti, scrittori e docenti del presente, Piero Colaprico, Giuseppe Lupo, Pietro Redondi: «Restiamo dentro la storia — considera Calabrò —, se la storia è realtà in movimento».
La sceneggiatura è conservata nell’archivio Pirelli, che raccoglie i testi di altri grandi della letteratura