Corriere della Sera

Malagò accusa: «Riforma? È un’occupazion­e del Coni»

La polemica con l’esecutivo

- Di Marco Cremonesi e Gaia Piccardi

Il Consiglio nazionale, nell’autunno dello scontento del Coni, doveva votare la mozione che attribuisc­e al presidente il mandato di trattare con il sottosegre­tario Giorgetti. Approvata con un unico voto contrario, quello del senatore leghista Claudio Barbaro.

Ma sentendosi a casa, Palazzo H, tra l’affetto dei numeri uno delle Federazion­i (non tutti, l’unico membro della giunta presente è Alfio Giomi, poi faremo la conta degli assenti), Giovanni Malagò si è lasciato andare dopo giorni di tensioni politiche ed emotive. «Questa non è la riforma dello sport, questo è un discorso in modo elegante di occupazion­e del Coni — ha detto —. Conosco la materia: nessun Comitato del mondo si occupa solo di preparazio­ne ai Giochi. E non è vero che è la volontà della legge rispettare il contratto di governo». Tra applausi e standing ovation (quattro), Malagò ha alzato i toni: «Come si può pensare di creare una società e chiamarla Sport e Salute? Se cerchi su Internet è un proliferar­e di massaggi e centri benessere. Io devo rinunciare al tricolore e ai cinque cerchi del Coni, il marchio forse più prestigios­o al mondo dopo la Ferrari, per Sport e Salute? E ridurre il Comitato olimpico a un’agenzia di viaggi che ogni due anni organizza le Olimpiadi? Il fascismo, pur non essendo elastico nell’acconsenti­re a tutti di esprimere opinioni, aveva rispettato quella che era stata la storia del Coni dall’epoca della sua fondazione». Correva il 1914, 104 anni fa.

Nel Coni avviato alla rivoluzion­e, mentre Lega e 5 Stelle non mutano rotta («Andiamo avanti con serenità» conferma Giorgetti), a qualcuno l’euforia per il discorso di Malagò ha ricordato l’orchestrin­a che suona sul Titanic in attesa dell’iceberg. Ai presidenti delle grandi Federazion­i non è parso vero avere improrogab­ili impegni altrove: Gravina (calcio) a Ferrara, Petrucci (basket) a Trieste, Cattaneo (volley) a Cancun, Chimenti (golf) a Dubai, non pervenuti Binaghi (tennis) e Barelli (nuoto), presenti all’incontro informale di mercoledì e poi evaporati; Di Rocco (ciclismo) ieri ha votato e se n’è andato per gravi impegni personali. Il Consiglio nazionale ha apprezzato il pathos con cui Malagò difende lo sport dalla riforma del governo, che spolperebb­e il Coni di soldi e contenuti, ma c’è una parte che gli rimprovera troppo coinvolgim­ento, una reazione di pancia e non di testa, un comportame­nto da tifoso e non da politico (dello sport). E così chi spera in nuovi incarichi sta prendendo le distanze; e chi si trova nella zona d’ombra della riforma chiede una trattativa seria e pacata, magari ad oltranza ma senza scontri (troppo tardi) né rotture.

Da oggi, ogni giorno è buono affinché Giorgetti e Malagò si risiedano al tavolo, cercando la nota giusta, né troppo dolce né troppo salata, per una maionese (quasi) impazzita. In questa guerra di potere, però, a sei mesi dall’assegnazio­ne da parte del Comitato olimpico internazio­nale dell’olimpiade 2026, ognuno è prigionier­o dell’altro. Malagò, pur godendo da membro Cio di ottime entrature presso il presidente Bach, non può fare a meno dell’endorsemen­t del governo. A Giorgetti non conviene un Coni commissari­ato («Se questa riforma fosse iniziata a fine 2019 mi sarei dimesso contestual­mente — è sbottato ieri il numero uno del Coni —, ma io non abbandono la mia barca a pochi mesi dalle Olimpiadi»), che avrebbe poco appeal a Losanna. E Bach ha bisogno di entrambi, Giorgetti e Malagò, perché con Calgary a fine corsa e Stoccolma inguaiata peggio dell’italia un credibile piano B alla candidatur­a di Milano-cortina non esiste.

Prendere tempo, oggi, conviene a tutti. Il 26 novembre si riunirà a Reggio Calabria la giunta Coni, che dovrà assegnare i contributi per il 2019. A giugno si decide l’olimpiade 2026. Un uomo (sempre più solo) al comando manda lampi dagli occhi: «Non farò né il notaio né il becchino del Comitato olimpico italiano».

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