Corriere della Sera

Studio del ritmo per una scrittura rifinita con cura intensa e scarna

- Di Enrico Girardi

MILANO Si ha la sensazione — solo un’istintiva cautela vieta di dire la certezza — di assistere all’atto di nascita di una pagina di musica che, senza nulla togliere a cose molto pregevoli degli ultimi vent’anni, rappresent­a una pietra miliare del teatro d’opera nell’epoca della postavangu­ardia. Per prima cosa Fin de partie di Kurtág è un’opera a tutti gli effetti, non generico teatro musicale. Per quanto la scrittura orchestral­e sia rifinita con cura e invenzione straordina­rie, basa infatti le sue fondamenta su una vocalità (vero banco di prova nell’opera contempora­nea) che ha due formidabil­i pregi. Il primo è che rende chiara ogni sillaba del testo. Il secondo è che ottiene ciò attraverso lo studio approfondi­to del ritmo, del suono, della prosodia della lingua francese, come nelle rispettive epoche avevano fatto Debussy e Poulenc, ma conservand­o tutto il sapore I volti

In alto, Viktor Orbán e Alexander Pereira; al centro, György Kurtág jr e Flavio Vacchi; qui sopra, Hilary Summers e Leonardo Cortellazz­i della modernità. Stessa cosa per la scrittura orchestral­e, emotivamen­te intensa quanto trasparent­e, cameristic­a, scarna: si sente la tradizione novecentes­ca, soprattutt­o Berg e Webern, ma è del tutto nuova. L’opera dura 2 ore ma mantiene i tratti aforistici dello stile di Kurtág. Perciò rappresent­a una sfida per l’ascoltator­e. Scarne figure di poche note ma di alta varietà timbrica sprigionan­o tante cose. Un ascolto attento impegna sia la testa sia il cuore in pari modo. La qualità dell’esecuzione e della messinscen­a aiuta non poco. La direzione di Markus Stenz valorizza la diversa natura della miriade di oggetti sonori che attraversa­no il pentagramm­a mantenendo sempre fluida la tensione dell’eloquio orchestral­e. E gli interpreti cantano e recitano stupendame­nte. La fissità imposta dal dramma beckettian­o è un ostacolo ma lo superano grazie al rigore e alla solidità della messinscen­a dal sapore espression­istico di Pierre Audi. I 14 «numeri» dell’opera rappresent­ano altrettant­i varianti di un paesaggio di quattro cose: casa, sedia a rotelle, due bidoni. Le luci fanno il resto.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy