Studio del ritmo per una scrittura rifinita con cura intensa e scarna
MILANO Si ha la sensazione — solo un’istintiva cautela vieta di dire la certezza — di assistere all’atto di nascita di una pagina di musica che, senza nulla togliere a cose molto pregevoli degli ultimi vent’anni, rappresenta una pietra miliare del teatro d’opera nell’epoca della postavanguardia. Per prima cosa Fin de partie di Kurtág è un’opera a tutti gli effetti, non generico teatro musicale. Per quanto la scrittura orchestrale sia rifinita con cura e invenzione straordinarie, basa infatti le sue fondamenta su una vocalità (vero banco di prova nell’opera contemporanea) che ha due formidabili pregi. Il primo è che rende chiara ogni sillaba del testo. Il secondo è che ottiene ciò attraverso lo studio approfondito del ritmo, del suono, della prosodia della lingua francese, come nelle rispettive epoche avevano fatto Debussy e Poulenc, ma conservando tutto il sapore I volti
In alto, Viktor Orbán e Alexander Pereira; al centro, György Kurtág jr e Flavio Vacchi; qui sopra, Hilary Summers e Leonardo Cortellazzi della modernità. Stessa cosa per la scrittura orchestrale, emotivamente intensa quanto trasparente, cameristica, scarna: si sente la tradizione novecentesca, soprattutto Berg e Webern, ma è del tutto nuova. L’opera dura 2 ore ma mantiene i tratti aforistici dello stile di Kurtág. Perciò rappresenta una sfida per l’ascoltatore. Scarne figure di poche note ma di alta varietà timbrica sprigionano tante cose. Un ascolto attento impegna sia la testa sia il cuore in pari modo. La qualità dell’esecuzione e della messinscena aiuta non poco. La direzione di Markus Stenz valorizza la diversa natura della miriade di oggetti sonori che attraversano il pentagramma mantenendo sempre fluida la tensione dell’eloquio orchestrale. E gli interpreti cantano e recitano stupendamente. La fissità imposta dal dramma beckettiano è un ostacolo ma lo superano grazie al rigore e alla solidità della messinscena dal sapore espressionistico di Pierre Audi. I 14 «numeri» dell’opera rappresentano altrettanti varianti di un paesaggio di quattro cose: casa, sedia a rotelle, due bidoni. Le luci fanno il resto.