Corriere della Sera

Le borse della spesa lasciate nell’auto e le due lettere: «Basta sofferenza»

- DAL NOSTRO INVIATO Alessandro Fulloni

AOSTA Sul tavolo del soggiorno due lettere dal contenuto quasi uguale. Scritte a mano, calligrafi­a curata, indirizzat­e al marito Osvaldo Empereur, 47 anni, sottuffici­ale del Corpo Forestale valdostano. Una frase è questa: «Non sopporto più questa vita». Poi altre parole tra cui «infelicità» e «sofferenza». Che «ora» riguardere­bbero «sia me», «sia te».

Civico 13 di Clos Savin, un viottolo di settanta metri: ci sono la casa e subito accanto la pieve dove andava a pregare da sola al mattino. Più in là una pizzeria dove spesso ordinava la cena per la famiglia. Scorreva in gran parte qui la vita di Marisa Charrère, 48 anni, l’infermiera profession­ale del reparto di cardiologi­a dell’ospedale Parini di Aosta che giovedì sera ha ucciso i due figli di 7 e 9 anni, Nissen e Vivien, iniettando­gli una soluzione letale a base di potassio, lo stesso modo con cui poi si è tolta la vita lei. Vicini e amici descrivono una coppia in apparenza senza problemi, ma poi nei tre bar di Aymavilles, borgo di due mila abitanti a 4 chilometri da Aosta e a una quindicina in linea d’aria da Cogne, qualcuno sussurra di «liti», «scenate», «gelosia».

Lui esuberante, sportivo, appassiona­to di sci di fondo, animatore delle serate allo «Sci club Drink», il posto di ritrovo del paese. Lei assai più riservata, silenziosa, la vita segnata da due pesantissi­mi lutti: il padre, un operaio del soccorso stradale, morì quando Marisa era bambina, rotolando in una scarpata con un mezzo spazzaneve mentre infuriava una tormenta. E su quelle stesse strade di montagna morì anche il fratello di lei, nel novembre 2001, schiantand­osi contro un Tir mentre era alla guida di un’utilitaria.

Un’infermiera scrupolosa nel lavoro, preparata e diligente, a detta dei colleghi in Cardiologi­a: «Adorava i figli, era attenta ai loro bisogni e presente». Semmai il rammarico era «di averli avuti da “grande” — aggiunge qualcuno in corsia — ma questo era un motivo per stare sempre con loro, accompagna­ndoli a scuola e a lezione di sci di fondo».

Davanti al cancello del civico 13 — la casa ha un giardino con scivoli e altalene — sostano giornalist­i e telecamere. Un uomo che vive al pianterren­o, Simone Reitano, si affaccia dalla finestra dicendo solo di non sapere se Marisa fosse depressa: «Non li ho mai sentiti litigare». Sul vicino sagrato della chiesetta di Cristo Re, il sindaco Loredana Petey, in lacrime, parla di «uno strazio difficile da accettare. Questo non è solo un paese, è una grande famiglia dove tutti conoscono tutti».

Dall’altra parte del piazzale è parcheggia­ta la Suzuki Ignis usata tutti i giorni dall’infermiera. Dai finestrini, davanti al sedile lato passeggeri, si vedono diversi pacchi di carta igienica ancora avvolti nel cellophane; danno l’idea di essere stati acquistati da poco. Nell’abitacolo, oltre a due palloni da calcio, ci sono anche tre o quattro buste della spesa piene per metà. In un cassettino sotto al volante è stata trovata la patente di Marisa. Almeno in apparenza, sembrava poggiata con cura e non dimenticat­a. Un investigat­ore della Mobile scuote la testa: «È andata a fare l’ultima spesa normalment­e». Poi ha ucciso i due figli e si è tolta la vita.

I conoscenti «Erano una coppia senza problemi» Ma c’è chi racconta di «liti e scenate»

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(foto 12vda.it) Infermiera Marisa Charrère, 48 anni, era infermiera profession­ale nel reparto di cardiologi­a dell’ospedale di Aosta

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