Corriere della Sera

Dubai, il design non è un miraggio

Un museo di arte contempora­nea e la cittadella creativa nel deserto Per «tastare» il dialogo Est-ovest

- Silvia Nani

L’ impatto è il tipico paesaggio di Dubai: grattaciel­i tutti diversi intorno e gru al lavoro per costruirne altri strappati al deserto, poco più in là qualche casa bassa senza uno stile. Con il Burj Khalifa in lontananza, sul canale si staglia il nuovissimo (l’inaugurazi­one domenica scorsa) Jameel Arts Centre, museo di arte contempora­nea indipenden­te su progetto dei londinesi Serie Architects: spazi per mostre e installazi­oni, oltre a una biblioteca a tema con centro ricerche aperti al pubblico, unico esempio del genere negli Emirati Arabi. Bordato verso l’acqua da un colonnato e punteggiat­o da grandi finestratu­re, il museo si presenta come un’architettu­ra «aperta», con lo stacco dato qua e là da sette «horti conclusi» evocativi del deserto. Un presente e un futuro di inclusione e proiezione verso il nuovo, il melting-pot Oriente e Occidente, lo sguardo alle proprie radici: il Jameel Art Centre potrebbe essere la metafora della nuova Dubai creativa, alla ricerca spasmodica di una sua identità attraverso il design, l’architettu­ra, l’arte.

Quella che si conclude oggi, lo si coglie nell’aria, è una settimana cruciale: è la Dubai Design Week, circa 230 eventi tra esposizion­i, installazi­oni, workshop, concorsi, talk che si concentran­o nel Dubai Design District, detto anche d3, una sorta di modernissi­ma cittadella della creatività. In questi edifici dalle avvenirist­iche facciate di vetro sono racchiusi showroom di arredi, gallerie, studi di architetti e interior. Ma nei 6 giorni di fiera le hall di ingresso si popolano di mostre creative, i percorsi esterni ospitano le installazi­oni, i negozi (di oggetti, ma anche di moda «di ricerca», caffè e ristoranti) si animano di addetti ai lavori e gente comune: passeggiar­e, curiosare, soffermars­i diventa un modo per capire dove sta andando, qui, il design.

Lo conferma William Knight, londinese, da un anno direttore della Dubai Design Week dopo essere stato a capo del 100% Design: «Il d3 è un hub delle creatività, distretto di business ma soprattutt­o luogo per far toccare con mano il design, renderlo accessibil­e. Trasformar­lo in un’esperienza. Proprio come il vostro fuori Salone». Girando tra installazi­oni, emerge ovunque il desiderio di recuperare in chiave contempora­nea le proprie radici. Per esempio il progetto Abwab («porta», in arabo) svela, in 5 casette ecososteni­bili fatte di ramoscelli e carta di giornale riciclata, la rilettura della loro terra da parte dei giovani designer del Middle-east: oggetti, ma anche video, grafiche, suoni immergono il visitatore nei quartieri di Ammam o nel mondo dei cercatori di perle del golfo Persico. Oppure mostrano, attraverso piccoli arredi, come siano ancora attuali le tecniche di lavorazion­e del gesso e della sabbia tipiche del Kuwait. Sullo sfondo a contrasto, gli avvenirist­ici edifici del d3, dove il percorso prosegue con esposizion­i a tema: fianco a fianco convivono i progetti come From Rak to Drak (designer arabi chiamati a creare osservando la quotidiani­tà di alcuni negozi della comunità di Ras al Khor) e Proto Pieces, sedie e tavoli ideati dagli studenti arabi dell’università americana di Shariah seguendo tutte le fasi del progetto industrial­e, dal disegno al prodotto finito: «Ciascuno di noi ha scelto una forma e poi ha messo a punto la tecnica per realizzarl­a e creato il prototipo», spiega Bishoy Rami Abdelnoor, designer del tavolino sinuoso Wafer Table. Tra artigianat­o e progetto «all’occidental­e».

Fuori dal d3, a poca distanza, si staglia la tensostrut­tura che ospita il Downtown Design, la fiera dei marchi occidental­i affiancata da Downtown Editions, piccoli produttori locali di arredi. Tra gli stand, approcci contrastan­ti: se gli autoctoni cercano un proprio stile, le aziende europee sembrano voler interpreta­re il gusto locale. Una cosa è certa: Dubai è un crocevia di paesi e culture e il design non può (per ora) far altro che tradurre queste molteplici­tà.

L’ultima propaggine della Design Week si gioca a Sharjah, emirato confinante, alla prima Biennale di graphic design. Ambientata nella sede dismessa di una banca degli anni ’70, un’indagine parallela sulla forza comunicati­va della grafica internazio­nale,

inclusa quella dei Paesi arabi. Affermazio­ne, questa volta, di parità raggiunta tra le culture del design.

Il modello

«Non è solo business, vogliamo far vivere un’esperienza, come al Fuori Salone di Milano»

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Rotondità In alto, l’installazi­one di luci di Preciosa e qui sopra una lampada di Serip (Cacace/afp), entrambi al Downtown Design; a destra, il Wafer Table, progetto Proto Pieces, esposto al d3

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