I «rurali» contro i parigini
Dietro la protesta in Francia c’è anche la rabbia dei «rurali» contro i parigini con il metrò sotto casa. E così anche l’ecologia è diventata un bersaglio per i populisti.
La frattura tra chi cavalca tecnologia e globalizzazione e chi ne è stato disarcionato sta investendo anche l’ambiente. Ormai uragani, inondazioni e siccità non sono più fenomeni naturali da gestire secondo capacità, ma, come l’economia, sono politica: credere al cambio climatico è da snob privilegiati, ignorarlo è da rozzi populisti. Aveva fiutato l’aria per primo Donald Trump. Per lui l’effetto serra è un’invenzione ed il carbone è «semplicemente fantastico» per conservare in America la produzione industriale. Macché riscaldamento globale, meglio scegliere quel che conviene qui e subito. I laureati di New York e San Francisco hanno giudicato Trump un troglodita, ma altri americani l’hanno eletto col risultato che venerdì un ex lobbista del carbone è stato messo alla guida dell’agenzia federale per l’ambiente. Non ha capito il cambio o non vuole considerarlo, Emmanuel Macron che ieri si è trovato la protesta dei «giubbotti gialli» a paralizzargli la Francia. Contestano l’abolizione degli incentivi per le auto diesel. Macron pensa di spingere industria e consumatori verso l’auto elettrica, ma Stefano Montefiori, su queste pagine, ha
Dagli Usa alla Spagna Trump ha fiutato l’aria per primo Sánchez, viceversa, si trova contro i lavoratori che non vogliono incentivi alle auto elettriche
spiegato come dentro i blocchi stradali ci sia la rabbia dei «rurali» contro i parigini con il metrò sotto casa. In Spagna l’ultimo campione della sinistra continentale, Pedro Sánchez, sembra perseguire una strategia più elaborata. Si era già presentato come femminista e solidale, ora cala l’asso dell’ecologia. Il suo disegno di legge di riconversione energetica supera gli obbiettivi Ue. Entro 22 anni, in Spagna, si potranno vendere solo auto elettriche. Come Macron, anche Sánchez si trova contro i lavoratori tradizionali. I metalmeccanici si immaginano licenziati a favore di giapponesi, coreani e californiani che sui motori elettrici ed ibridi sono avanti anni luce. Il sisma economico-sociale tra vincitori e vinti della modernità si era attivato due anni fa con la Brexit: la provincia per l’isolamento, la cosmopolita Londra per l’unione. Da allora in tutto il mondo sviluppato sono emerse divisioni simili. La cancelliera Merkel è stata azzoppata dalla decisione di accogliere la forza lavoro dei profughi; i ceti più «occidentalizzati» dell’europa orientale sono stati sottomessi dall’«illiberalità» delle campagne; ora ecologia contro lavoro, sempre futuro contro passato. Invece di blandire le paure, Sánchez tenta di chiamare a soccorso della modernità i giovani. Quando da metà 2019 la Spagna potrebbe tornare alle urne, ci saranno 1,3 milioni di neo-elettori che oggi sosterrebbero liste «populiste» di destra o sinistra. Sánchez vuole i loro voti. Con diritti civili, ricerca hi-tech e, appunto, lotta all’effetto serra, Sanchez spera di allontanarli dall’arroccamento nel carbone, nel diesel, nei confini. Ha iniziato una scalata alla montagna di disoccupazione e precariato, ma almeno prova a proporre un’idea di futuro. E in Italia? Tra inondazioni e crolli, si discute ancora a favore o contro gli inceneritori, come negli anni 80. Da noi non sono fermi solo il Pil, le grandi opere e le riforme, ma anche i temi del dibattito.
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