Il sottomarino ritrovato e già perduto «Impossibile tirarlo fuori dagli abissi»
Sparì un anno fa con 44 marinai, localizzato a 900 metri di profondità: «È imploso»
RIO DE JANEIRO L’hanno trovato in fondo all’oceano Atlantico, non lontano da dove l’avevano cercato per un anno intero, il sottomarino argentino Ara San Juan. Ma era appoggiato dentro una sorte di vallone degli abissi, a 907 metri di profondità, 430 chilometri dalla costa della Patagonia e probabilmente non verrà mai recuperato.
C’è voluta una tecnologia particolare arrivata dagli Stati Uniti, carissima, richiesta perché le famiglie delle vittime non hanno mai mollato un secondo, facendo in modo che l’odissea del sottomarino restasse all’attenzione dei media argentini per dodici lunghi mesi, senza saltare nemmeno un giorno. Premendo su una Marina screditata per le incertezze iniziali, e un governo, quello di Mauricio Macri, già impopolare e in mezzo ai guai per la debacle economica. Basti pensare che la Ocean Infinity, la società specializzata chiamata dal governo ai primi di settembre, aveva già deciso di abbandonare la missione e il punto decisivo era già stato perlustrato invano. Quel canyon degli abissi era il più difficile da scandagliare e i familiari hanno dovuto insistere nei giorni scorsi perché ci si tornasse.
Era il 15 novembre dello scorso anno quando l’ara San Juan mandò a terra il suo ultimo Sos, e questo 15 novembre la fregata Seabed Constructor ha iniziato a ricevere le prime inequivocabili immagini da uno dei cinque minisommergibili teleguidati. Sono ombre difficili da decifrare per i profani, quelle diffuse dalla Marina argentina, ma per gli esperti non ci sono dubbi. Poi, anche per rispettare le celebrazioni del primo anniversario della tragedia, si è deciso di aspettare qualche ora in più per divulgare la notizia Oceano Pacifico 432 km 5.000 m Oceano Atlantico del ritrovamento. Nei prossimi giorni dovrebbero arrivare immagini più dettagliate.
Unica consolazione per le famiglie dei 44 marinai scomparsi, oltre alla fine dell’attesa, è che la ricostruzione più plausibile fatta finora è quella corretta. Il sottomarino è imploso per un grave problema elettrico due ore dopo l’ultimo contatto radio (ne hanno sentito le vibrazioni a migliaia di chilometri sofisticate «orecchie» sottomarine) e poi è andato ad appoggiarsi sul fondo a qualche miglia di distanza, dopo essersi squarciato in due o tre parti. Quindi con ogni probabilità tutti i membri dell’equipaggio sono morti sul colpo, e non per una lunga e terribile agonia fatta di mancanza di ossigeno e cibo come si poteva anche temere. Lo ha dichiarato il ministro della Difesa Oscar Aguad, in una conferenza stampa tenuta insieme ai vertici militari, aggiungendo anche che l’argentina non ha i mezzi e le tecnologie per riportare in superficie un relitto di queste dimensioni, e ovviamente i resti dei marinai. «Per questo c’è voluto un anno e l’arrivo di un mezzo specializzato dall’estero. La zona delle ricerche era corretta, ma senza i mini sottomarini autonomi non l’avremmo mai localizzato», ha aggiunto il ministro.
Ora dunque la decisione di andare avanti o meno passa alla politica ed è anche legata alle cause giudiziarie in corso. Intanto in Argentina verrà decretato il lutto nazionale di due giorni, sempre rinviato viste le circostanze della vicenda e l’opposizione dei familiari.
Il timore è che a cerimonie concluse venissero interrotte le ricerche del sottomarino. Alla fine hanno avuto ragione loro.
Ora il rischio è che il lungo duello con le autorità vada avanti per il recupero dei corpi. Ma come ha detto il perito navale Fernando Morales, per un anno nella squadra di ricerca, «a 900 metri la tomba di quei poveretti sarà il mare, i familiari dovranno rassegnarsi». Troppo difficile, troppo caro fare altrimenti.