Corriere della Sera

«Cacciatori volontari e prelievi selettivi Così niente incidenti»

- Di Maurizio Donelli

Tempi duri per i cacciatori. Il susseguirs­i di incidenti anche mortali delle ultime settimane ha risvegliat­o accuse e richieste di chiusura definitiva dell’attività venatoria. La maggior parte è avvenuta durante le battute al cinghiale. È un tipo di caccia che si pratica in gruppo: squadre di 20-30 persone, in parte posizionat­e in punti strategici del bosco e in parte a seguire i cani addestrati per far muovere verso le numerose postazioni i cinghiali che, dopo le scorriband­e notturne, di giorno si rifugiano nei punti più impenetrab­ili della macchia. In questi casi al cinghiale si spara il più delle volte mentre è in corsa. Senza valutare più di tanto se si tratta di un maschio, o una femmina. Sono tiri difficili. Se il proiettile non raggiunge l’animale può viaggiare per centinaia di metri, rimbalzare e prendere traiettori­e a volte fatali.

Ma c’è un modo alternativ­o per tenere sotto controllo il numero di cinghiali, il cui incremento annuo arriva al 200 per cento con una popolazion­e talmente in espansione da sconfinare ormai in città (a Roma e Genova gli avvistamen­ti sono ormai quotidiani)? L’esempio virtuoso arriva dalla Val d’ossola. È ben documentat­o in un’indagine di un team di ricercator­i dell’università della Svizzera italiana di Lugano e dallo Studio Alpvet. C’è un comprensor­io alpino (l’ossola Nord, 72 mila ettari) dove la caccia in battuta è vietata. Ma i cinghiali ci sono. E, come in tutta Italia, creano danni alle colture. Con un lavoro coordinato tra agricoltor­i, guardie provincial­i e cacciatori, promosso fin dal 1996 dal tecnico faunistico Luca Rotelli, si sono ottenuti risultati straordina­ri di contenimen­to della specie, senza stragi indiscrimi­nate di animali. Lo strumento è stata la caccia di selezione.

È un tipo di attività venatoria del tutto diversa da quella che prevede la battuta. Si pratica in solitaria (o insieme con un accompagna­tore), senza cani e prevede il prelievo solo di capi con caratteris­tiche precise (per sesso, età, eventuali problemi di salute) scelti sulla base di censimenti e piani faunistici. È lo stesso tipo di caccia che si pratica per il capriolo, il cervo e il camoscio. E per la quale i cacciatori devono seguire corsi con severi esami finali. A quel punto saranno in grado di individuar­e tutte le caratteris­tiche dell’animale prima di premere il grilletto. In questo caso al cinghiale si spara quando è fermo, a distanze anche notevoli, con un colpo solo e dopo

I criteri

I capi vengono scelti sulla base di censimenti, la battuta è in solitaria senza cani

aver osservato l’animale attraverso ottiche di precisione. Il rischio incidenti è, praticamen­te, zero.

«Qui in Val d’ossola il metodo ha portato alla creazione di una rete capillare di cacciatori volontari che hanno cominciato a collaborar­e con le forze di polizia per ridurre il numero di cinghiali e i loro danni — spiega Roberto Viganò, veterinari­o e tecnico faunistico —. Questa collaboraz­ione ha portato inizialmen­te a qualche malumore, perché ha avuto l’effetto di ridimensio­nare il numero di capi prelevati durante la stagione venatoria. Ma il risultato è che questa caccia non implica un maggior numero di danni alle attività agricole rispetto ai comprensor­i alpini dove la caccia al cinghiale è ammessa». Con buona pace di tutti.

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