La partita di Parigi e quel rischio di contare meno
Vivendi: Telecom Italia deve battersi per tutti i suoi azionisti, non solo per il fondo Usa
PARIGI Le condizioni per la tregua tra Vivendi e il fondo Elliott erano due: mantenere Amos Genish alla guida di Telecom, e non scorporare la rete dai servizi. Martedì è caduta la prima, ovvero Genish è stato cacciato a sorpresa nonostante fosse stato rassicurato dal presidente Fulvio Conti. Nei giorni successivi è venuta meno anche la seconda, ovvero Telecom si avvia a cedere la rete permettendo la fusione con Open Fiber benedetta dal governo di Roma. A questo punto i contrasti più o meno trattenuti tra Vivendi e Elliott sono destinati a scoppiare e lo faranno oggi.
Il gruppo francese possiede il 24% del capitale, e Elliott ha solo l’8,8% ma ha preso il controllo del consiglio di amministrazione con il blitz del 4 maggio scorso.
«Andremo al Consiglio ed esprimeremo la nostra consueta posizione — dice il portavoce di Vivendi, Simon Gillham —. Ovvero, siamo assolutamente contrari allo smantellamento di Telecom Italia».
Mentre il governo italiano prende posizione per lo scorporo della rete dai servizi telefonici, Vivendi ribadisce una opposizione totale, facendo valere la sua natura di «investitore di lungo termine» contrapposta a Elliott, accusato di fare solo speculazione.
Poi c’è il nodo della cacciata do Amos Genish, che per qualche mese era stato l’unico elemento di accordo tra i due litiganti.
«Siamo sempre in attesa di spiegazioni su come Elliott ha trattato Amos Genish — continua Gillham —. Siamo molto sorpresi da quello che è successo. Telecom Italia deve battersi per tutti i suoi azionisti, e non solo per Elliott. Su un piano umoristico, diciamo così, troviamo piuttosto divertente che Luigi Gubitosi e Alfredo Altavilla, ovvero le due persone che hanno fatto campagna insieme per cacciare Amos, fossero in competizione proprio per il posto di direttore generale che era di Amos».
In realtà, la candidatura di Gubitosi appare sempre più solida. Ma per Vivendi non è tanto una questione di nomi quanto di strategia complessiva. Genish andava bene ai francesi perché aveva presentato un piano industriale secondo loro convincente. Gli altri nomi rispondono invece, secondo Vivendi, all’esigenza di smantellare il gruppo. «Non siamo per Gubitosi o per Altavilla, siamo perché ci sia una visione a medio-lungo termine, a differenza di quello che vuole Elliott».
Quanto alla presa di posizione del governo italiano, «non spetta a noi commentare le decisioni di Roma». Vivendi potrebbe chiedere una nuova assemblea — «vediamo cosa succede in consiglio» — ma esclude di fare valere il peso in Mediaset, «non mescoliamo i dossier, adesso la priorità è Telecom». E se Gubitosi dovesse farcela, come sembra ormai certo? «Ci penseremo lunedì, ogni giorno ha la sua pena».
Le strategie
Il portavoce: «Siamo investitori di lungo termine e non un fondo speculativo»