Corriere della Sera

La partita di Parigi e quel rischio di contare meno

Vivendi: Telecom Italia deve battersi per tutti i suoi azionisti, non solo per il fondo Usa

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Stefano Montefiori

PARIGI Le condizioni per la tregua tra Vivendi e il fondo Elliott erano due: mantenere Amos Genish alla guida di Telecom, e non scorporare la rete dai servizi. Martedì è caduta la prima, ovvero Genish è stato cacciato a sorpresa nonostante fosse stato rassicurat­o dal presidente Fulvio Conti. Nei giorni successivi è venuta meno anche la seconda, ovvero Telecom si avvia a cedere la rete permettend­o la fusione con Open Fiber benedetta dal governo di Roma. A questo punto i contrasti più o meno trattenuti tra Vivendi e Elliott sono destinati a scoppiare e lo faranno oggi.

Il gruppo francese possiede il 24% del capitale, e Elliott ha solo l’8,8% ma ha preso il controllo del consiglio di amministra­zione con il blitz del 4 maggio scorso.

«Andremo al Consiglio ed esprimerem­o la nostra consueta posizione — dice il portavoce di Vivendi, Simon Gillham —. Ovvero, siamo assolutame­nte contrari allo smantellam­ento di Telecom Italia».

Mentre il governo italiano prende posizione per lo scorporo della rete dai servizi telefonici, Vivendi ribadisce una opposizion­e totale, facendo valere la sua natura di «investitor­e di lungo termine» contrappos­ta a Elliott, accusato di fare solo speculazio­ne.

Poi c’è il nodo della cacciata do Amos Genish, che per qualche mese era stato l’unico elemento di accordo tra i due litiganti.

«Siamo sempre in attesa di spiegazion­i su come Elliott ha trattato Amos Genish — continua Gillham —. Siamo molto sorpresi da quello che è successo. Telecom Italia deve battersi per tutti i suoi azionisti, e non solo per Elliott. Su un piano umoristico, diciamo così, troviamo piuttosto divertente che Luigi Gubitosi e Alfredo Altavilla, ovvero le due persone che hanno fatto campagna insieme per cacciare Amos, fossero in competizio­ne proprio per il posto di direttore generale che era di Amos».

In realtà, la candidatur­a di Gubitosi appare sempre più solida. Ma per Vivendi non è tanto una questione di nomi quanto di strategia complessiv­a. Genish andava bene ai francesi perché aveva presentato un piano industrial­e secondo loro convincent­e. Gli altri nomi rispondono invece, secondo Vivendi, all’esigenza di smantellar­e il gruppo. «Non siamo per Gubitosi o per Altavilla, siamo perché ci sia una visione a medio-lungo termine, a differenza di quello che vuole Elliott».

Quanto alla presa di posizione del governo italiano, «non spetta a noi commentare le decisioni di Roma». Vivendi potrebbe chiedere una nuova assemblea — «vediamo cosa succede in consiglio» — ma esclude di fare valere il peso in Mediaset, «non mescoliamo i dossier, adesso la priorità è Telecom». E se Gubitosi dovesse farcela, come sembra ormai certo? «Ci penseremo lunedì, ogni giorno ha la sua pena».

Le strategie

Il portavoce: «Siamo investitor­i di lungo termine e non un fondo speculativ­o»

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Il finanziere bretone Vincent Bollorè

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