Corriere della Sera

M5S, c’è un piano-rimonta

Il fragile equilibrio tra voci di urne e di un altro esecutivo

- di Francesco Verderami

C’è la disfida in piazza sugli incenerito­ri, c’è il rischio in Parlamento dei voti a scrutinio segreto sul ddl Anticorruz­ione, c’è la tensione in Consiglio dei ministri sul varo delle Autonomie regionali.

Ma la vera emergenza di governo resta il nodo dei conti pubblici, la trattativa con l’europa che non decolla, il tempo che corre, lo spread che sale, il timore che dietro il braccio di ferro sulla manovra nazionale si celino manovre internazio­nali. I fantasmi a cui ieri Salvini ha dato pubblica forma sono il resoconto di riflession­i svolte con quei rappresent­anti dell’esecutivo che conoscono Bruxelles e le strategie dei Paesi alleati. Da giorni ai vicepremie­r vengono spiegati i pericoli a cui si potrebbe andare incontro: «La Francia, per esempio, attende di vederci in difficoltà per mettere le mani sui gioielli di famiglia italiani a prezzi di saldo». Ecco decrittata la battuta del capo leghista, secondo cui «la battaglia è più grande di quel che si pensa: il problema non sono Juncker o Moscovici».

Ma a Juncker e Moscovici, dunque alla Commission­e, «serve dare qualcosa, serve inserire — come ha spiegato Giorgetti nelle riunioni riservate — elementi reali di novità» nella manovra, e accompagna­re la mediazione «abbassando i toni». Accantonat­a l’idea di sfidare l’unione («peggio tardi che mai», imprecava ieri un autorevole ministro), c’è da prendere atto che il compromess­o può realizzars­i solo con alcune concession­i. Anche perché non sembrano esserci dei margini per una limitazion­e del danno: la procedura sul deficit pare un’opzione impraticab­ile, visto che l’italia formalment­e non sforerà il 3%. Resta il «cartellino rosso» sul debito, che sarebbe pesante.

Ecco lo stato dell’arte nel governo, dove prosegue il derby tra Di Maio e Salvini. E dire che su questo punto Giorgetti aveva consigliat­o ai due una tregua. Il sottosegre­tario alla Presidenza, per svelenire il clima, l’aveva fatto prendendo a prestito l’avvertenza che sta sui pacchetti di sigarette: «La competizio­ne nuoce gravemente alla salute. Del governo». Niente da fare, Salvini e Di Maio continuano a fumare, intenti a marcare i propri territori.

Era chiaro al leader leghista che evocare gli incenerito­ri sarebbe stato considerat­o dal capo grillino un atto ostile. Ed è chiaro che si trattava di un diversivo. Il motivo va ricercato (anche) nel braccio di ferro parlamenta­re, dove M5S mira a costruire la «remuntada» sulla Lega portando a casa il ddl Anticorruz­ione. Sul provvedime­nto il Carroccio è in sofferenza, lo si è notato alla Camera nei lavori in commission­e, dov’è parso il partito del «vorrei ma non posso»: avrebbe voluto modificare la prescrizio­ne e non c’è riuscito; puntava a cambiare la norma sul peculato e ha dovuto desistere; aveva ottenuto un compromess­o sul finanziame­nto ai partiti ed è saltato.

I voti segreti in Aula potrebbero rovesciare il verdetto ma Salvini deve difendere il decreto sicurezza, che va ancora convertito in legge: perciò non può forzare la mano. Così ieri — accantonat­i gli incenerito­ri — ha messo in campo il tema delle Autonomie regionali, schierando la batteria dei suoi governator­i. La riforma, secondo il vicepremie­r, andrebbe approvata «entro l’autunno» dal Consiglio dei ministri. Un’altra prova di forza con M5S, se è vero che da mesi il ministro leghista Stefani incontra la resistenza passiva dei colleghi grillini, che non le inviano i loro «pareri» perché ostili al disegno.

Altro che «contratto» di governo. Oltre la spartizion­e dei posti di potere, «Salvini e Di Maio — per dirla con Bersani — concordera­nno solo la data del voto anticipato, perché dopo questa manovra non avranno la voglia e la forza di fare la successiva». È vero, c’è la variabile del Colle, c’è l’ipotesi — accreditat­a dal Carroccio — che Mattarella non consenta il ritorno alle urne e si apra la prospettiv­a di un gabinetto a guida Salvini coi voti di Berlusconi, Meloni e dei transfughi grillini. Sembra uno scenario fatto apposta per tener buono il Cavaliere, che intanto serve a Salvini per far passare in Parlamento la nomina dei nuovi vertici Istat. «Nel governo la convivenza è difficile», ammette Di Maio, mentre l’altro vice premier liscia il pelo addirittur­a a Tajani: «Abbiamo governato insieme tanti anni, spero torneremo a farlo». Stanno per tirar giù il sipario.

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