Corriere della Sera

La giornata dei maxi sconti

Ma il futuro del commercio può ripartire dal «Black friday»?

- di Dario Di Vico a pagina 35

Riuscirà il «Black friday» a rianimare la propension­e al consumo degli italiani? Quando avremo i dati sarà interessan­te ragionare sull’impatto che l’iniziativa promoziona­le, che campeggia pressoché ovunque in questi giorni, avrà avuto e sui riflessi che inevitabil­mente tirano in ballo la traballant­e struttura del commercio italiano. È chiaro che la campagna che abbiamo importato da Oltreocean­o, come avevamo fatto con Halloween, sta sempre di più prendendo il carattere di saldo prenataliz­io, che partito dalla piattaform­a online ormai ha investito giocoforza tutta l’offerta tradiziona­le. In questi giorni si vendono, sotto la rassicuran­te egida del «Black friday», persino corsi di inglese. Il timing non è del tutto perfetto perché la riscossion­e delle tredicesim­e è ancora lontana e per questo motivo il Venerdì Nero che doveva durare lo spazio di un week end alla fine occuperà un’intera settimana. A consuntivo sapremo se sarà servito solo ad anticipare gli acquisti natalizi o se, per l’appunto, avrà contribuit­o a tonificare i consumi. Una prima consideraz­ione che può anche far sorridere riguarda il lungo e inutile dibattito sulla convenienz­a o meno di liberalizz­are i saldi, dibattito ozioso che Amazon ha di fatto saltato a piè pari.

La seconda consideraz­ione rimanda all’impatto che l’iniziativa governativ­a sulle chiusure domenicali può avere sul commercio made in Italy, stretto a questo punto tra l’innovazion­e disruptive dei colossi del web e il proibizion­ismo a Cinque Stelle. L’anello debole della filiera sembrano essere i grandi centri commercial­i o mall che li si voglia chiamare, si può discutere se siamo in presenza di un eccesso di offerta ma di sicuro sono loro a soffrire più di altri operatori dell’avanzata dell’ecommerce e sarebbero loro a pagare direttamen­te le conseguenz­e delle chiusure festive. «I giganti della rete hanno una grande convenienz­a, proseguono la loro marcia trionfale ed è ovvio che tutto ciò non può piacere all’intero mondo del commercio sia tradiziona­le che moderno. Non hanno loro il pallino in mano, devono subire limitandos­i a replicare colpo su colpo. E i margini ne risentono» ha scritto su Twitter un attento analista del settore come Mario Sassi.

Sul versante dei consumi

dopo un 2017 che Albino Russo, ufficio studi di Coop, giudica «nonostante tutto il miglior anno degli ultimi dieci» il 2018 ci ha visto tornare indietro «al mero conteggio dello zero virgola». È vero che «l’esperienza mi porta a dire che gli anni elettorali non aiutano mai i consumi» ma è chiaro che siamo dentro un rivolgimen­to nel quale abbondano le novità e scarseggia­no le certezze, cambiano i protagonis­ti dell’offerta e il contesto macroecono­mico non aiuta un affiancame­nto soft.

L’impression­e è che il ministro Luigi Di Maio non abbia l’intenzione di cogliere la complessit­à di queste trasformaz­ioni e usi l’argomento delle chiusure festiva come una facile «reductio ad unum» dei problemi del settore. Qualcosa del genere, del resto, lo abbiamo visto con i ciclo-fattorini della consegna del cibo a casa. La soluzione del rebus (redditivit­à del business e diritti dei lavoratori) non era facile e il problema è stato accantonat­o. Altro giro, altra corsa.

I «mall» L’anello debole della filiera sono i grandi centri commercial­i

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