Corriere della Sera

«Alleati degli Usa ma la Russia non va ignorata»

- di Maurizio Caprara

Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi alla vigilia della conferenza sul Mediterran­eo al via oggi a Roma: «L’europa è di fronte a uno dei bivi della storia della sua integrazio­ne: deve rivedere parti della sua architettu­ra. Va trovato un modo per ricomporre a unità l’arcipelago. Manca una politica comunitari­a sull’immigrazio­ne». L’europa «dovrebbe fare molto di più» anche se «progressi sono stati fatti». Il rapporto con Mosca? «Siamo alleati degli Usa ma la Russia oggi conta, l’italia non la può ignorare».

«La Commission­e europea ha espresso un “parere”, per usare il termine giuridico: è severo, ma significa che la discussion­e può e deve continuare subito e durante l’iter parlamenta­re italiano della legge di stabilità», diceva ieri Enzo Moavero Milanesi sulla bocciatura del progetto di bilancio presentato a Bruxelles dal governo di Giuseppe Conte. Quando ieri ci si è incontrati per questa intervista al Corriere della Sera, la scrivania del ministro degli Esteri era piena di informativ­e su mezzo mondo. Oggi l’agenda di Moavero sarà imperniata sul Mediterran­eo. Spetterà al giurista chiamato a far dialogare l’italia con gli interlocut­ori più ostici per il governo Cinquestel­le-lega aprire la conferenza annuale Med, organizzat­a da Farnesina e Istituto per gli studi di politica internazio­nale nell’hotel Parco dei Principi a Roma.

Ministro, lei a Bruxelles è di casa. Benché nel governo le deleghe su Economia e Affari Europei siano dei suoi colleghi Giovanni Tria e Paolo Savona, quanto le pesa vedere che l’italia nell’unione Europea è isolata come lo è sulla legge di stabilità?

«Mi dispiace molto. Per di più l’ue è diventata un arcipelago. Purtroppo sono tante le situazioni divisive e di isolamento che riguardano sia gruppi di Paesi sia singoli Stati: l’uscita della Gran Bretagna che è una ferita grave per l’unione, Ungheria e Polonia che sono sotto procedura per violazione di principi fondamenta­li, il “gruppo di Visegrad” che rifiuta di accogliere i rifugiati, le Spagna che si irrigidisc­e su Gibilterra».

Vero, però ciò non fa che appesantir­e la situazione.

«L’UE è di fronte a uno dei bivi della storia dell’integrazio­ne europea: deve ritrovare lo spirito collaborat­ivo e solidale, rivedere parti della sua architettu­ra complessiv­a. Va ricomposta l’unità dell’arcipelago. Ad esempio, è grave che manchi una vera politica comune sulle migrazioni: l’europa dovrebbe fare molto di più sebbene a piccoli passi ci siano progressi».

Quali correzioni di rotta ritiene necessarie nelle politiche sul Mediterran­eo?

«Non dobbiamo guardare al Mediterran­eo e all’africa soltanto con il timore di migranti. L’africa rappresent­a per noi un’opportunit­à enorme. Non possiamo sottovalut­arla. Abbiamo davanti una grande occasione per investimen­ti e interscamb­io commercial­e su basi inedite rispetto al passato».

Perché aumentano gli affari e la popolazion­e?

«Sì, in Africa c’è una notevole crescita economica e demografic­a. Un’espansione che, se ben fiancheggi­ata, può assorbire le migrazioni favorendo lo sviluppo in loco. Grazie alla rivoluzion­e tecnologic­a, il continente può bruciare tappe saltando quelle intermedie dell’evoluzione industrial­e, le più dannose per l’ambiente e le esigenze sociali. Per l’italia l’africa deve diventare una priorità».

La conferenza sulla Libia

tenuta a Palermo ha reso evidente una ridefinizi­one della posizione italiana nel Mediterran­eo. La partecipaz­ione del presidente Abdel Fattah al Sisi ha riportato i rapporti con l’egitto a pieno regime dopo i contrasti sull’uccisione di Giulio Regeni. Quella del premier Dmitry Medvedev ha fatto risaltare la sintonia del governo con la Russia. L’amministra­zione Trump è parsa affidarsi molto all’italia per stabilizza­re la Libia. Non teme tuttavia che così gli Stati Uniti evitino di impegnarsi ?

«L’amicizia e l’alleanza con gli Stati Uniti, la collocazio­ne dell’italia nella Nato sono punti fermi e uno dei fili conduttori del nostro impegno nel Mediterran­eo. In questo c’è una visibile sintonia con il riequilibr­io dell’attenzione della Nato verso il suo fianco Sud, deciso nel vertice dello scorso luglio».

La Russia aumenta le sue attività in Libia. Da quando Vladimir Putin ha mandato nel 2015 militari in Siria, riconfigur­are gli assetti del Medio Oriente è impossibil­e senza il consenso di Mosca. Ci conviene davvero che Putin abbia in Libia lo stesso potere?

«Nelle sue varie versioni storiche — Russia imperiale, Unione Sovietica, Federazion­e attuale — l’interesse russo per il Mediterran­eo è una costante. Non deve meraviglia­re. Pur rimanendo saldo il nostro ancoraggio nella Nato, se davvero vogliamo una stabilizza­zione in Libia non possiamo prescinder­e da un dialogo con la Russia. A dover trovare un accordo sono innanzitut­to i libici, fra loro. Tuttavia se lasciamo fuori interlocut­ori di rilievo le soluzioni diventano più difficili».

E quanto lo sono adesso i rapporti con la Turchia? La delegazion­e inviata dal presidente Recep Tayyip Erdogan ha lasciato la conferenza di Palermo. Ankara ha peggiorato i suoi rapporti con Israele, nella Nato non è lineare. Una Turchia ondivaga e più illiberale non crea difficoltà all’italia, suo partner tradiziona­le?

«Ankara è un altro interlocut­ore indispensa­bile, arduo misconosce­rlo. La Turchia intrattien­e autonomi rapporti bilaterali che possono essere più o meno buoni. Bisogna coinvolger­la, ma le sensibilit­à mostrate a Palermo sono sintomatic­he di quanto siano complesse le relazioni nel Mediterran­eo».

Per la pace e la stabilità in Libia un’intesa tra Italia e Francia non basta, però sembra una condizione necessaria. Come la si raggiunge se i contrasti tra i governi italiano e francese spaziano dall’immigrazio­ne alla ferrovia Torino-lione? Il 2018 sta per finire e dell’annuale vertice italo-francese non è nemmeno annunciata la data.

«Anche in un contesto integrato come l’ue una competizio­ne tra sistemi-paese è normale. Per la Libia non vedo una faglia di rottura con la Francia sul comune intento di arrivare a una soluzione di stabilizza­zione e democrazia. Ciò detto, è naturale che ognuno cerchi di avere un ruolo maggiore».

Quali passi prevede la nuova fase di rapporti con al Sisi, preparata da una visita sua e una del ministro Matteo Salvini al Cairo?

«L’egitto ha una lunga frontiera con la Libia ed è un attore fondamenta­le nella regione. Il suo coinvolgim­ento nella ricerca di soluzioni nel Mediterran­eo è nell’ordine delle cose. Ma per noi resta importanti­ssimo ottenere giustizia per la terribile uccisione di Giulio Regeni come ci è stato assicurato dalle autorità egiziane».

Per la Libia non vedo una faglia di rottura con la Francia sul comune intento di stabilizza­zio ne. È naturale che ognuno cerchi un ruolo maggiore

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