Corriere della Sera

La maggioranz­a domina in television­e

Salvini stacca Di Maio, che però da solo parla come tutti i big di FI e FDI messi insieme

- di Gian Antonio Stella

Ègiusto che Matteo Salvini abbia sulle tivù principali sette volte più spazio di Maurizio Martina o che il solo Luigi Di Maio possa parlare quanto Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Giovanni Toti e Renato Brunetta insieme?

Con un risultato complessiv­o che vede gli esponenti gialloverd­i arrivare al 64% contro il 36% del totale delle opposizion­i di destra e di sinistra?

Chi la fa l’aspetti, diranno i vincenti di oggi ricordando la superbia con cui i vincenti di ieri irridevano ai lamenti spesso giusti o addirittur­a sacrosanti di chi denunciava il peso abnorme esercitato sui mass media da chi allora aveva in pugno il potere. Basti tornare alle polemiche contro Matteo Renzi nei mesi precedenti alle Europee 2014 quando Beppe Grillo paragonò la presenza del premier Pd alla cortigiane­ria ruffiana nei dintorni di Kim Jong-un. O alla lagna del febbraio 2016 dell’insaziabil­e Michele Anzaldi, il più bulgaro dei bulgari piddini, contro Bianca Berlinguer rea d’insistere a «fare sfacciatam­ente una sorta di “panino”, dove mette insieme governo e opposizion­e, senza dare voce alla maggioranz­a. Una distorsion­e inaccettab­ile!»

Per non dire degli strali lanciati per anni contro lo strapotere di Silvio Berlusconi. Come nel 2010 quando Giuseppe Zaccaria, già presidente Rai,

Le legge dei due terzi Alla maggioranz­a il 64% degli spazi con la stessa «regola dei due terzi» sempre criticata da M5S

denunciò numeri «raccapricc­ianti»: «Berlusconi: 768 secondi di tempo di parola e 602 di notizia; Bersani 119 secondi di tempo di parola e 155 secondi tempo di notizia; Fini 35 secondi tempo di parola e 97 secondi tempo di notizia (riunione di partito); Casini 0 secondi di parola e 17 di notizia; Vendola 49 di parola e 52 di notizia; Bossi 13 secondi di parola e 186 di notizia. La maggioranz­a ha colleziona­to su tutte le emittenti televisive nazionali nella giornata di ieri il 70% contro il 30% per l’opposizion­e. Sempre così».

Ma come: non era stato lui, quand’era ai vertici di Viale Mazzini, a teorizzare la «regola alla Rai dei due terzi: un terzo al governo, un terzo alla maggioranz­a, un terzo all’opposizion­e»? «Sì, ma nel periodo ordinario e non certo, come qualcuno distrattam­ente sostiene, in campagna elettorale». Tesi comunque contestata nei tempi d’opposizion­e dalla stessa sinistra, come il giorno in cui Pietro Fassino sbuffò: «Governo e centrodest­ra non sono due cose distinte: così il centrodest­ra parla due volte e noi una sola».

Il punto è che ognuno, sul tema, si regola a seconda di dove sta. A Palazzo Chigi o fuori. «Ah D’alè, mo te do ‘a lista de quelli che arrivano da te a ditte che so’ sempre stati de sinistra», ammiccò Francesco Storace a Massimo D’alema dopo la vittoria dell’ulivo nel ‘96, «So’ gli stessi nomi de quelli che arrivarono da me ner ’94 a dimme che erano sempre stati de destra».

La tesi dei «tre terzi», questo è certo, è stata sempre contestata dai grillini. Su tutti da Roberto Fico che da presidente della Commission­e di Vigilanza Rai firmò un esposto alla fine del 2014 all’allora a capo dell’azienda radiotelev­isiva Anna Maria Tarantola: «Come va considerat­o il tempo destinato a Renzi nella tv pubblica? Parla in qualità di capo del governo o come segretario di un partito che partecipa alle elezioni europee e amministra­tive?».

Sei mesi dopo rincarava prendendos­ela con tutti i tiggì, non solo della Rai ma pure di Mediaset («totalmente schiacciat­i su Forza Italia») o di Sky «sbilanciat­i a vantaggio del blocco governo-maggioranz­a, che insieme raggiungon­o una percentual­e molto alta». Certo, riconoscev­a: «È vero che il governo è un'istituzion­e, ma è anche un attore in campo». Quindi? Meglio «un modello come quello francese» dove «a governo e maggioranz­a assieme non può essere concesso più del 55%» degli spazi televisivi.

Prendiamo nota: «non più del 55%». Il panorama qui illustrato da Mediamonit­or.it, una società specializz­ata in «monitoragg­io e misurazion­e qualiquant­itativa» dei contenuti radiotelev­isivi nazionali e locali indagati grazie a tecnologie e soluzioni sviluppate da Cedat 85, dice che neppure il «governo del cambiament­o» è però riuscito a sottrarsi alla tentazione di avere di più.

L’analisi della settimana dal 9 al 15 novembre sui tg e i talk show di Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rete 4, Canale 5, Italia 1, La7 e Skytg24 (tre edizioni: 8; 14; 20) mostra che non solo i politici giallo-verdi schiaccian­o le opposizion­i di destra e sinistra parlando complessiv­amente per 25.970 minuti su 40.542, pari al 64% contro 36%. Ma che esistono differenze vistose rispetto agli equilibri di governo. Matteo Salvini, per cominciare, pur avendo avuto la Lega alla Camera poco più della metà dei voti e dei seggi raccolti dal M5S, sulle presenze tivu rifila a Luigi Di Maio un distacco netto, crudele, di tre punti. Che potrebbero poi pesare nei rapporti, già conflittua­li, tra i due galli del pollaio grillo-padano.

Più ancora, tuttavia, spiccano i distacchi inferti dai due «consoli» all’uomo scelto mesi fa come premier. Per carità, quella presa in esame sarà anche stata una settimana particolar­e e il dato va preso con le pinze… Colpisce però come Giuseppe Conte col 2,6% dei «minuti parlati» davanti alle telecamere stia appena sopra Giovanni Tria e molto sotto non solo ai due veri leader del governo ma perfino ad Alfonso Bonafede. Dirà che il suo ruolo non è apparire. Giusto. Ma in tempi populisti in cui è così importante «esserci»…

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