MASCHERE VENEZIANE COSÌ LA FENICE VUOL RISCATTARE IL VOLTO PIÙ INCOMPRESO DI VIVALDI
La stagione Il teatro d’opera lagunare apre con Verdi ma dedica al prete rosso un progetto che raccoglie la quasi totalità dei manoscritti. Come spiega Diego Fasolis che dirigerà il melodramma «Dorilla in Tempe»
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«Qui troviamo un uso massiccio del coro rispetto ad altre opere, è una svolta »
l 9 novembre, festa di San Martino, nel '700 è il giorno in cui l’aristocrazia europea, da Vienna a Parigi fino a Venezia, conclude la villeggiatura. Le ricchezze provengono dalla campagna e la vendemmia è terminata. È tempo di riaprire i palazzi, la vita mondana e i teatri in città. Dorilla in Tempe va in scena il 9 novembre 1726, riecheggiando quel contesto bucolico. È un melodramma eroico pastorale che il libretto di Antonio Maria Lucchini ambienta nell’antica Grecia. Vivaldi lo riprenderà per il Carnevale del 1734, al «suo» Teatro Sant’angelo, e questa versione è la sola conservata nel Fondo di Venezia, che insieme col Fondo di Torino custodisce il 90 per cento dei manoscritti vivaldiani.
«In quello di Torino bisogna metterci le mani completamente, c’è tanta musica mai eseguita», dice il direttore d’orchestra Diego Fasolis, artefice del Progetto Vivaldi della Fenice. Specialista del barocco, collaboratore di Cecilia Bartoli (150 concerti insieme, quattro cd, diverse opere a Salisburgo), Fasolis ha inciso su cd Dorilla in Tempe, ma, se si esclude un allestimento in Polonia in forma semiscenica, il 23 aprile 2019 al Teatro Malicaratterizzazione bran, con la sua direzione e la regia di Fabio Ceresa, sarà la prima ripresa in epoca moderna.
È un «pasticcio», come si dice in gergo, dove Vivaldi utilizza (era moneta corrente di un’epoca in cui il concetto dell’originalità era relativo) anche musiche di altri compositori, in questo caso napoletani. Non mancano autocitazioni di pagine celeberrime: nel coro introduttivo («Dell’aura al sussurrar, dell’onde il mormorar»), ricorre alla Primavera, dalle Quattro Stagioni. L’opera si apre infatti con ninfe e pastori che nella valle in Tempe, in Tessaglia, celebrano l’arrivo della primavera. Dorilla, figlia del re Admeto, è innamorata del pastore Elmiro. Nomio, anche lui attratto dalla fanciulla, tenta invano di risvegliarne l’attenzione. Ma egli non è altro che Apollo travestito da pastore.
Fasolis, ci sono gli elementi retorici tipici del barocco, il languore, la furia…? «Sì, e così il lamento, il temporale, l’innamoramento, la gelosia». Tempe potrà essere salvata solo sacrificando Dorilla al drago Pitone. Lei, aggrappata a una roccia a strapiombo sul baratro marino, sta per essere divorata dal mostro. «È una sorta di Ifigenia in Tauride ante litteram. Dorilla è un personaggio lamentoso, e come spesso accade non è il personaggio principale ad avere le arie più interessanti in Vivaldi».
Ma quante opere ha scritto? C’è chi dice 46, chi 52 o addirittura 94 con i pasticci... «Se diciamo una cinquantina non andiamo lontani dal vero. Che ci sia tanto materiale andato perduto è altrettanto sicuro. Rispetto ad altre opere, qui troviamo un uso massiccio del coro. Vivaldi dà una svolta alla psicologica dei personaggi, non stereotipata. E poi malgrado la strumentazione sia limitata a un’orchestra d’archi con basso continuo, compie passi importanti con l’intervento di alcuni fiati che arricchiscono il commento musicale».
Maestro Fasolis, esiste un pregiudizio sul Vivaldi operista? «Questa sua produzione non è ancora decollata. Ma chi, se non Venezia, deve proporla? La fama di Vivaldi, musicista prolificissimo, è legata soprattutto alle Quattro Stagioni, al Gloria e a poche altre composizioni sacre. Il fatto è che mentre Händel, con Rinaldo, Giulio Cesare, Alcina e gli altri suoi capolavori, anche se eseguito male da un’orchestra moderna, può funzionare, Vivaldi no. La semplicità degli elementi armonici è tale per cui il colore e l’articolazione sono fondamentali affinché il risultato sia intellegibile; non si può prescindere dalla qualità esecutiva e timbrica degli strumenti. Laddove c’è, il risultato è clamoroso».
Dorilla in Tempe segnò il debutto della cantante Anna Girò (o Giraud), indicata come amante del prete rosso. Fasolis fa una difesa appassionata sulle tante verità, accertate o presunte, fiorite in maniera denigratoria attorno a Vivaldi. Per lui non fu un prete faccendiere, spregiudicato, avido di denaro, libertino. Che spettacolo sarà? «Il regista mi ha parlato della sua visione onirica. Per me, che lavoro soprattutto nei teatri tedeschi dove tutto è attualizzato e politicizzato, se mi passate il gioco di parola la visione onirica è un sogno».