Il legame con Chung e il repertorio dinamico La ricetta di Ortombina
Inaugurano il maestro coreano e Michieletto Rarità di Mozart, la riscoperta di Albinoni
Non è solo perché è il titolo inaugurale: per il sovrintendente Fortunato Ortombina, Macbeth sintetizza lo spirito della Fenice: «Nessuno, tra coristi e orchestrali, l’aveva mai fatto; e neanche Chung, che ha accettato di studiarlo “per la tua prima stagione da sovrintendente”, mi ha detto; negli ultimi anni aveva affrontato solo il Verdi già fatto, da Simon Boccanegra a Don Carlo». Il rapporto col maestro coreano è uno dei fondamenti del teatro lagunare: «Mi aveva colpito fin da quando lo vedevo lavorare alla Scala; ama la cultura italiana e conosce nel profondo il teatro italiano, segue tutte le prove di regia per lavorare sul rapporto tra parola, musica e scena, sa cogliere la modernità di Verdi, che è poi quello che desidero emerga. Chung ha diretto tanto '900, anche sinfonico, sa cogliere gli elementi in cui Verdi innova e anticipa; e tra tutte le sue opere Macbeth è quella in cui ha sperimentato di più».
Appena arrivato a Venezia, nel 2009, Ortombina aveva chiamato Chung per Traviata, negli anni sono arrivati Puccini e Tristano, in questa stagione Otello e la Messa da Requiem «che ha diretto anche il 4, per ricordare la fine della Grande Guerra. Con lui vogliamo tracciare un percorso verdiano, per l’anno prossimo stiamo lavorando a due altri titoli». La regia è di Damiano
Con lui vogliamo tracciare un percorso verdiano, per il 2019 stiamo lavorando a due altri titoli Fortunato Ortombina sovrintendente
Michieletto: «Anche con lui il rapporto è cresciuto costantemente in questi dieci anni; sabato era il suo compleanno, Chung e l’orchestra prima della prova gli hanno suonato “Tanti auguri”. Ha firmato una splendida Trilogia dapontiana di cui quest’anno viene ripreso Don Giovanni».
Il capolavoro mozartiano rientra tra i titoli che la Fenice considera «di tradizione», sistematicamente riproposti non solo ad uso delle migliaia di turisti provenienti da ogni angolo del globo: «Sempre più italiani vengono e tornano alla Fenice per assistere alle grandi opere, perché la vera letteratura italiana più che da Manzoni o Alfieri è stata fatta da Rossini, Donizetti, Verdi e Puccini. Ci sono titoli divenuti patrimonio stabile del nostro teatro: oltre a Traviata e Don Giovanni, tornano Rossini col Barbiere di Siviglia e La scala di seta e Puccini con Tosca e Madama Butterfly. Ma non è una riproposizione statica: il nuovo allestimento di Turandot e il recupero della nostra storica Aida amplieranno il novero delle opere che saranno presenze costanti nelle stagioni future».
Turandot sarà realizzata con la Biennale Arte, con Oksana Dyka nel ruolo eponimo e la regia di Cecilia Ligorio; Aida andrà in scena nell’allestimento del 1976, allora cantava Carlo Bergonzi: «manca alla Fenice da 32 anni; a chi dice che è l’opera più da Arena di Verona che ci sia rispondo che invece è un dramma intimo, ideale per l’acustica del nostro teatro: è fenomenale, ti avvolge e ha un bilanciamento perfetto tra voci e orchestra».
Sul podio l’esperto Riccardo Frizza, mentre il tenore verdiano Francesco Meli debutterà come Radames. Si continua la riscoperta del teatro veneziano con La Statira e Pimpinone di Albinoni coprodotti col Conservatorio, Dorilla in Tempe affidato a Diego Fasolis al Malibran («vogliamo presentare tutto il teatro di Vivaldi») e l’italiana in Algeri che Rossini compose per il teatro San Benedetto nel 1813.
Poi due rarità del giovanissimo Mozart dirette da Sardelli, Il re pastore e il Sogno di Scipione, il Werther di Massenet e, con un finale inedito, Luci mie traditrici di Sciarrino.