«Il cuore bianco di Macbeth Dominato dalla Lady arpia»
Luca Salsi e il suo re, sospeso tra le colpe e le manipolazioni
Lo conosco bene, non è cattivo come sembra» assicura Luca Salsi, baritono dalla voce piena e luminosa, specialista in ruoli verdiani e interprete senza pari di Macbeth. «Ormai è il mio alter ego lirico. L’ho cantato non so quante volte. Con Muti a Chicago, a Firenze, a Ravenna, a Barcellona. E di recente, al Festival Verdi di Parma».
E ora a Venezia aprirà con lui la stagione della Fenice, regista Michieletto, direttore Myung-whun Chung. E Vittoria Yeo nei panni della Lady. Un Macbeth assassino ma non troppo...
«Beh le mani sporche di sangue le ha... Ma a spingerlo a uccidere è la moglie. Dei due, è lei la più forte, quella che lo manipola, lo istiga e compiere crimini. Lo tiene in pugno. E lui, debole e spaventato, non riesce a dirle no».
Più che un re tormentato dal potere un marito pavido, succube di una moglie arpia.
«Al centro della lettura di Michieletto c’è una coppia in crisi. Deflagrata da un lutto invano rimosso, la perdita di un figlio. Forse morto ancora in fasce. E chissà come».
Nell’opera di Verdi tutto questo non c’è.
«Ma in Shakespeare sì. La Lady racconta di aver allattato un bimbo e che sarebbe stata pronta a fracassargli il cranio mentre succhiava dal suo seno. Sia come sia quel figlio non c’è più. O forse quella figlia, il che spiegherebbe la ferocia della Lady, il suo chiedere agli spiriti di sbarazzarla di ogni femminilità, di mutare il suo latte in fiele. Una maternità dannata, una sterilità invocata. Macbeth è la sua unica creatura, e lei la moglie-madre che non ammette rivali».
I bambini, morti e vivi, qui tornano ossessivamente.
«Le tre streghe che gli predicono il suo trono di sangue sono tre bambine venute dall’al di là. Gli incubi di un padre mancato, incapace di superare lo strazio della perdita».
Nel libretto però si parla di donne con la barba...
«Le bimbe avranno il viso coperto da lunghi capelli. Le loro profezie inganneranno Macbeth e accuseranno la Lady di aver ucciso altri innocenti, i figli di Macduff».
Il cuore così bianco della Lady non conosce pietà.
«Il bianco è il colore dominante di questo allestimento, il colore del gelo e della morte. Bianchi sono i grandi teli che incombono dall’alto, una morte inesorabile. Che si avvicina e alla fine muoverà su di lui come la foresta dell’oracolo delle tre sorelline».
Una delle tante visioni di un’opera popolata di ombre.
«Allucinazioni che esistono solo nella mente di Macbeth, squassata dalla paura. Invano cerca di afferrare il pugnale che gli danza davanti, di lavare indelebili macchie di sangue. Consapevole che tutto quell’orrore è vano, perchè non avendo discendenza non ha futuro. E quel potere per cui si è dannato, non potrà tramandarlo a nessuno».
Insomma, pur avendolo interpretato così tante volte, il re resta imprevedibile?
«Ogni volta lo scopro un po’ di più. E se la sua crudeltà mi sgomenta, la sua umanità mi sorprende. In questa edizione affiora in modo inatteso, me la porterò appresso».
E dopo Macbeth? Chi l’attende in scena?
«A Vienna l’andrea Chénier, che ho già frequentato per lo scorso 7 dicembre alla Scala. Dove tornerò il prossimo 4 marzo con un recital che unirà musica e poesia. E poi due magnifici eroi verdiani: Simon Boccanegra e Jago. Con Simone debutterò al Festival di Salisburgo diretto da Valery Gergiev, con Jago al Festival di Baden Baden con i Berliner e Daniele Gatti».
Il baritono
«Ogni volta lo scopro un po’ di più. La sua crudeltà mi sgomenta, l’umanità mi sorprende»
Jago, il cattivo dell’opera...
«È il Male personificato. Ben più perverso di Macbeth e pure di Scarpia, che ho cantato l’anno scorso all’opera di Roma e anche lì ne ho capito in parte le ragioni di uomo umiliato nell’amore».
Non mi dica, la colpa è sempre delle donne?
«Non glielo dico... Se no me le ritrovo tutte addosso. Mia moglie per prima».