Così Margherita diventò Mara Cagol
Gli anni tra il 1960 e il 70 sono stati dolorosi, tragici, violenti, feroci, confusi, si ricordano concitati e scuri, carichi di voglia di cambiamento, di disillusioni e di errori terribili.
Anni che evoca Avevo un bel pallone rosso, di Angela Demattè, testo nitido e inquietante per capacità narrativa, con la regia di Carmelo Rifici (al Bellini di Napoli). In scena un padre e una figlia che parlano in dialetto trentino, Margherita Cagol, poi conosciuta come Mara, moglie di Renato Curcio, i fondatori delle brigate rosse, morta in un conflitto a fuoco.
Brechtianamente date e scritte proiettate sulla scena riportano al tempo e allo svolgersi dei fatti. Il passaggio di Margherita a Mara è sottolineato da una freddezza che le cala addosso e la porta ad imboccare la strada definitiva della lotta armata. La regia è molto attenta nel non far perdere l’orientamento, nel tenere una narrazione che non è mai emotiva, ma di lucida consapevolezza e conoscenza. Bravi Francesca Porrini, che disegna con bel tratto la parabola da discola ingenua a determinata e impietosa brigatista, e Andrea Castelli, un padre che ha sempre seguito la figlia, dalla clandestinità alla morte, impotente, ferito e frastornato.
Avevo un bel pallone rosso di Angela Demattè 7,5 ●●●●●●●●●●