Corriere della Sera

L’ESAME DI MATURITÀ? CAPIRE CHI È BRAVO AIUTA IL PAESE A CRESCERE

- di Andrea Ichino

L’esame di maturità cambia ancora, purtroppo sempre in peggio. È un esame che dovrebbe consentire di confrontar­e tra loro gli studenti indipenden­temente dalla scuola frequentat­a e separatame­nte per ciascuna delle materie. Così accade all’estero ma non in Italia. E non accadrà con la nuova maturità dalla quale il governo gialloverd­e ha rimosso, anche solo come requisito per l’ammissione, ogni prova Invalsi.il motivo è chiaro: conquistar­e il supporto politico dei bacini d’utenza delle scuole italiane che, soprattutt­o al Sud, regalano i voti ai loro studenti. Non si capisce come mai non protestino gli elettori della Lega nel Nordest, i cui figli hanno i migliori risultati del Paese nelle prove standardiz­zate Invalsi e Pisa, ma voti di maturità mediamente inferiori a quelli dei ragazzi di altre regioni. La crescita, a cui il governo dice di essere interessat­o per risolvere il problema del debito, richiede anche una migliore allocazion­e del capitale umano tra i suoi diversi utilizzi. Un esame di maturità che non consenta di capire chi è veramente bravo e chi no in ciascuna materia non aiuta il Paese a crescere. Servirebbe invece un esame che, indipenden­temente dal curriculum classico, scientific­o o tecnico frequentat­o al Nord, al Centro o al Sud, assegni ad ogni studente un punteggio da 0 a 100 sulle sue competenze in matematica. Lo stesso per italiano, una lingua straniera e per ogni altra materia opzionale nella quale lo studente voglia dimostrare le sue capacità. Questo richiede che tutti gli studenti sostengano lo stesso esame, a seconda della materia, con domande a diverso contenuto di difficoltà. Quasi tutti rispondera­nno correttame­nte a quelle facili e solo alcuni a quelle difficili. Ma soprattutt­o è necessario che l’esame sia valutato con criteri uguali per tutti e non dagli insegnanti «interni». Un ulteriore vantaggio sarebbe di consentire alle università di usare questi risultati standardiz­zati per le ammissioni, invece di buttar via risorse per i test di ingresso. I corsi di laurea in matematica richiedere­bbero punteggi alti nelle materie scientific­he e meno alti in quelle umanistich­e; viceversa i corsi dell’area umanistica. Se poi vogliamo aggiungere domande sulla Costituzio­ne, nessuna obiezione: avremmo finalmente una misura attendibil­e di quanto sia davvero conosciuta nel Paese.

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