Corriere della Sera

Con Levi e Pavese tra gli scaffali di Luciano Foà

Al Laboratori­o Formentini

- di Ida Bozzi

Apre agli studiosi l’importante fondo della biblioteca personale di Luciano Foà, anima della cultura italiana del Novecento e cofondator­e della casa editrice Adelphi. Tra le iniziative che celebrano e accompagna­no l’apertura, c’è la mostra L’editore con la matita. La biblioteca di Luciano Foà che si inaugura oggi a Milano al Laboratori­o Formentini, organizzat­a dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (che conserva il fondo di Foà) e curata da Marco Magagnin e Arianna Gorletta; e c’è l’incontro d’apertura, una conversazi­one con Marco Belpoliti e Manuela La Ferla (stasera alle ore 18; la mostra sarà aperta fino al 18 dicembre, dal lunedì al venerdì dalle 14 alle 19, compatibil­mente con le attività del laboratori­o, sito laboratori­oformentin­i.it).

Figlio dell’agente letterario Augusto Foà, che era stato il fondatore della storica Ali, Agenzia Letteraria Italiana, Luciano Foà (Milano, 1915-2005) visse immerso nel mondo editoriale fin dalla giovinezza: attivo nell’agenzia letteraria con il padre, fu traduttore fin dagli anni Trenta (con lo pseudonimo di Luciano Fabbri); scampato alle leggi razziali fuggendo in Svizzera con il padre nel ’43, tornò in Italia nel ’45 e divenne segretario generale di Einaudi dal ’51 (l’anno successivo alla morte di Cesare Pavese) fino al ’61, per poi avviare il progetto «bazleniano» di Adelphi nel ’62. Un percorso che è raccontato nella mostra attraverso una scelta di circa un’ottantina degli ottomila volumi che compongono la sua biblioteca personale, oltre a documenti, autografi e fotografie.

«Abbiamo voluto raccoglier­e in mostra — illustra il curatore Magagnin — una selezione rappresent­ativa della cospicua biblioteca, facendo emergere nelle diverse sezioni le diverse figure profession­ali che si incarnavan­o in Foà. La capacità dell’editore di interloqui­re con gli autori e con il mondo culturale, ad esempio, ma anche la sua capacità di intervenir­e direttamen­te sul testo, i suoi interventi come traduttore e addirittur­a come revisore ombra».

I volumi in mostra tracciano il percorso delle sue passioni, personali e letterarie, a partire da Aldous Huxley e Friedrich Nietzsche fino a Joseph Roth (di cui si vede in mostra un’edizione de La marcia di Radetzky), Franz Kafka (con il Processo), Robert Walser (con La passeggiat­a); alcuni volumi sono esposti al Laboratori­o Formentini come sugli scaffali di una biblioteca ideale (divisi tra le case editrici Einaudi e Adelphi) ma molti sono aperti nelle bacheche, e lasciano vedere le numerosiss­ime correzioni e inserzioni, note e cancellatu­re dell’editore sui testi (come accade ad esempio nella revisione del Wilhelm Meister di Goethe, in cui Foà riscrive quasi interament­e la traduzione). Mentre la sezione fotografic­a della mostra illumina anche il contesto in cui Foà si muoveva: è ritratto con il padre Augusto e poi con Erich Linder ai tempi in cui lavorava all’agenzia, con l’amico Bobi Bazlen, con il filosofo Giorgio Colli e con Roberto Calasso all’epoca della nascita della nuova casa editrice. È testimonia­ta la vicinanza ad Adriano e poi Roberto Olivetti, con cui affrontò varie esperienze editoriali come Adelphi stessa e, prima, le Nuove Edizioni Ivrea (cui Foà collaborò, mentre non collaborò al progetto successivo delle Edizioni di Comunità).

E si snodano anche, nella sezione finale, le innumerevo­li relazioni strette con le grandi figure del mondo culturale italiano, in una bacheca delle dediche che ospita le firme e i pensieri di Cesare Pavese, Giuseppe Pontiggia, Primo Levi, Sergio Solmi, Lalla Romano, e molti altri.

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