Intrighi del cuore nel melò che assomiglia a un thriller
Come sanno gli spettatori di Il primo giorno d’inverno e I corpi estranei, Mirko Locatelli è un regista che, protetto dalla crosta della sua sensibilità, sta sospeso sui suoi film e le storie come un equilibrista sul filo. Accade anche con Isabelle (il premio per la sceneggiatura di Giuditta Tarantelli a Montreal) in cui i conti sentimentali tra i personaggi volutamente non tornano, ma questo è il fascino del dubbio espresso dal suo cinema che non offre mai teoremi.
Isabelle, astronoma francese che insegna e vive in una casa della campagna triestina, ha un figlio che viene a trovarla e con cui divide il segreto di un incidente. Nella partita edipica si inserisce un giovane sofferente che prende al balzo — e usa — il momento di sospensione d’incredulità della donna, nel frattempo diventata nonna (e insegnante di sostegno).
Lasciamo apposta qualche buco nel melò senza scene madri che racconta, su due quaderni visivi diversi ed entrambi seducenti, sia il piacere della natura, visto dalla serratura del giardino, sia quello del piacere, visto dalla pulsione anomala di un cuore che sta andando in inverno. Questo piccolo gruppo in bilico si rivolge in platea e guarda il pubblico con la bravura magnetica e il Dna malinconico di Ariane Ascaride, che dà un peso specifico al silenzioso thriller dell’anima, come Robinson Stévenin e il triestino Samuele Vessio, non professionista solo di nome, in un film che è serbatoio di rimorsi e rimpianti.