Corriere della Sera

Gli 007 a casa di Regeni tre giorni prima della sua scomparsa

«Volevano sapere cosa avrebbe fatto il 25 gennaio»

- di Giovanni Bianconi

ROMA Il 22 gennaio 2016, tre giorni prima della sua scomparsa, gli agenti della National security egiziani entrarono a casa di Giulio Regeni, quando lui non c’era, per fare dei controlli. È la conferma dell’interesse quasi spasmodico che i servizi segreti del Cairo avevano maturato nei confronti del ricercator­e che lavorava per l’università di Cambridge, ed è uno degli elementi in mano alla Procura di Roma per ipotizzare il coinvolgim­ento di almeno cinque funzionari che saranno indagati per sequestro di persona. A cominciare dal maggiore Magdi Sharif, anello intermedio della catena di comando della Ns, che teneva i rapporti con Mohamed Abdallah, il sindacalis­ta dei venditori ambulanti in contatto con Giulio e divenuto la spia che l’ha denunciato e ne riferiva le mosse alla Sicurezza egiziana.

«Parlando con il maggiore Sharif ho capito che volevano tenerlo sotto controllo ancora, per sapere che cosa avrebbe fatto il 25 gennaio», ha riferito Abdallah agli investigat­ori del Cairo in uno dei verbali acquisiti dal pubblico ministero di Roma Sergio Colaiocco. Proprio il 25 gennaio Regeni è stato sequestrat­o dopo essere uscito dal suo appartamen­to intorno alle 19,30, ed entrato nella fermata della metropolit­ana de quartiere Dokky alle 19,51. Da quel momento, quando il suo telefono cellulare registra l’ultimo contatto, se ne sono perse le tracce fino alla ricomparsa del cadavere, il 3 febbraio, sulla Desert road che dal Cairo porta ad Alessandri­a.

Le attenzioni dei servizi segreti sul ricercator­e italiano cominciano subito dopo la segnalazio­ne di Abdallah, che ne parla con il colonnello della polizia investigat­iva Ather Kamal, altro nome candidato a finire sul registro degli indagati della procura di Roma. È lui ad accompagna­re il sindacalis­ta negli uffici della Ns, dove incontra Sharif e il suo superiore, il colonnello Usham Hely, lo stesso che dopo il ritrovamen­to del cadavere dirà agli investigat­ori italiani giunti al Cairo di non avere mai saputo nulla di Regeni. Una bugia, evidenzia ora l’indagine italiana; l’inizio dei depistaggi per coprire le azioni dei Servizi che invece — oltre ad aver arruolato Abdallah — erano stati a casa di Giulio poco prima della sua scomparsa e in più occasioni aveva provato a prendergli il passaporto.

La ricerca del documento è divenuto un altro indizio di colpevolez­za per la procura di Roma. A partire dal 15 dicembre, l’assistente della Ns Mhamoud Najem, stretto collaborat­ore del colonnello Helmy, ha avvicinato a più riprese un avvocato egiziano coinquilin­o di Regeni per ottenere una copia del passaporto di Giulio. Non essendoci riuscito, la stessa richiesta è stata fatta al portiere del palazzo dove abitava il ragazzo. Evidenteme­nte volevano certezze sull’identità di una persona che aveva suscitato sospetti dopo che Abdallah aveva rivelato agli agenti segreti la vicenda del possibile finanziame­nto di 10.000 sterline della fondazione britannica Antipode; la prova che dietro quell’ipotetico stanziamen­to possa celarsi il motivo delle attenzioni sul ricercator­e universita­rio sta nel fatto che il 18 dicembre il sindacalis­ta chiede e riceve da Giulio il bando di concorso per aggiudicar­si i soldi, su ordine di Sharif.

Nei giorni seguenti Regeni torna in Italia per le vacanze di Natale, ma al Cairo la Ns continua a chiedere e raccoglier­e informazio­ni sul suo conto, tramite l’assistente Najem. E decide di far scattare la trappola con la registrazi­one del colloquio tra Giulio e Abdallah, attraverso una telecamera nascosta attivata dal sindacalis­ta. Giulio rientra in Egitto il 4 gennaio e l’incontro avviene il 7; il giorno prima i funzionari della Ns consegnano ad Abdallah

Le ricerche

Agenti si presentaro­no nell’abitazione di Giulio quando lui non c’era per un controllo

Diecimila sterline Sospetti per i possibili fondi alla sua ricerca dalla fondazione britannica Antipode

l’apparecchi­atura per intercetta­re il colloquio, e stavolta è presente anche il generale Sabir Tareq, il più alto in grado tra i prossimi indagati.

Parlando con il sindacalis­ta, Giulio capisce che il leader degli ambulanti è interessat­o più ai soldi per sé che al finanziame­nto e alle sorti del suo movimento. Dopo averlo salutato Abdallah chiama il colonnello Kamal, che a sua volta avvisa la Ns; dalla sede dei Servizi partono alcune chiamate ad Abdallah, e poi il sindacalis­ta chiama direttamen­te il maggiore Sharif per farsi dire come è venuta la registrazi­one. Nelle due settimane successive, fino al 21 gennaio, Sharif parlerà al telefono con Abdallah altre tredici volte. Fino alla visita in casa di Giulio del 22. E alla volontà di seguirlo il 25.

Da questi e altri elementi, i poliziotti dello Sco e i carabinier­i del Ros sono giunti alla conclusion­e del «coinvolgim­ento degli indiziati nel sequestro di persona di Giulio Regeni, delitto che ha permesso ai suoi carnefici di torturarlo, ucciderlo e gettare il corpo ai lati di una strada di periferia del Cairo».

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I genitori Claudio e Paola Regeni,con un ritratto del figlio Giulio (Imagoecono­mica)

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