Lo strumento che può dare opportunità a tutti i ragazzi
Tra qualche settimana sapremo che effetti avrà generato la legge Dignità voluta da Luigi Di Maio e quindi tenteremo di ricostruire l’ennesima mappa del nostro mercato del lavoro, terremotato continuamente da riforme e controriforme a seconda delle maggioranze politiche che hanno nel frattempo conquistato la guida del Paese. Ma al di là dei numeri e delle tendenze che fotograferemo in materia di contratti «fissi» e assunzioni a termine rimane la realtà di fondo di una relazione vischiosa tra domanda e offerta. Capita di tutto: imprese del nuovo triangolo industriale che cercano tecnici e non li trovano, aziende che contestano la preparazione dei giovani che si trovano davanti nei colloqui di assunzione, scuole che si ribellano per le ingerenze del mondo produttivo. La verità è semplice: scuola e impresa parlano due lingue differenti, si frequentano poco e sono separate da una sottile diffidenza. È in questo quadro che va collocato il progetto italiano di alternanza scuola-lavoro che è partito in ritardo rispetto ad analoghe esperienze straniere ma che merita di essere rilanciato. In questa prima fase sperimentale insieme a esperienze-modello si sono registrati anche molti casi di sciatteria o mancata comprensione dello spirito della piccola riforma ma gli errori non autorizzano nessuno — tantomeno il governo — a strozzare il bambino nella culla. Vogliamo che i nostri ragazzi — da qualunque famiglia provengano — arrivino al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro non solo in possesso di una buona preparazione scolastica ma anche di una conoscenza, seppur per sommi capi, del mondo delle imprese. L’aumento dell’occupazione e persino la mobilità sociale si favoriscono così, con politiche lungimiranti. È evidente che chi invece amministra il Paese pensando solo alle prossime elezioni fatica a entrare in questo ordine di idee. Non si vanti però di voler ridurre le disuguaglianze, non pare proprio.