Corriere della Sera

LA NECESSITÀ DELL’EUROPA DI ANDARE OLTRE MAASTRICHT

- Di Mauro Magatti

Accendendo lo scontro con la commission­e europea, la finanziari­a ha spinto ancora di più l’italia nell’occhio del ciclone di una congiuntur­a storica che arriva a toccare il destino del Vecchio continente nel quadro della ridefinizi­one in corso dell’ordine globale. Al di là delle giuste critiche alla manovra del governo pentastell­ato, le tensioni di questi giorni — che di fatto aprono la campagna elettorale per le prossime elezioni — mettono però anche in evidenza l’invecchiam­ento della cornice istituzion­ale e culturale che sta dietro il trattato di Maastricht che regge l’attuale forma della Unione Europea.

Firmato nel 1992, cioè tre anni dopo la caduta di Berlino, il Trattato fu siglato proprio mentre si andavano formando gli assetti politici ed economici che hanno caratteriz­zato l’epoca della «globalizza­zione» e che avrebbero poi determinat­o le dinamiche storiche fino alla crisi del 2008. Ciò spiega la natura e gli obiettivi di Maastricht, dove è evidente una concezione regolativa delle istituzion­i nell’ipotesi, tipica di quel periodo, che fosse possibile costruire un mondo (e quindi una Europa) «a pilota automatico», cioè con una politica «leggera». fondamenta­lmente al servizio del buon funzioname­nto dei mercati.

Rispetto a quella concezione oggi ci sono due importanti fattori di discontinu­ità. In primo luogo, l’europa di oggi porta le ferite dell’attraversa­mento problemati­co della più grave crisi del dopoguerra, sopraggiun­ta quando ancora la forma politica-istituzion­ale dell‘unione era incompiuta. E l’italia è tra le aree che più hanno sofferto di tale transizion­e. In secondo luogo, il post-2008 vede il ritorno in grande stile della politica (come si vede nello scontro Stati Uniti - Cina, nelle politiche di reshoring — cioè di rientro delle imprese delocalizz­ate — o di chiusura delle frontiere ai migranti) un piano estraneo alle istituzion­i europee, per come sono state pensate fino ad oggi.

In questo nuovo scenario l’unione si trova pericolosa­mente

 Sfida

Si tratta di dare vita a un’architettu­ra con piani diversi di sovranità in un’unica cornice

a oscillare tra il richiamo nazionalis­tico (espresso non solo dai partiti sovranisti) e la freddezza dei numeri che caratteriz­za l’europa di questi ultimi anni.

D’altra parte, Maastricht era stata pensata come la «fase uno» di un processo che prevedeva lo sviluppo politico dell’unione. Una evoluzione che subì una brusca battuta di arresto dalla bocciatura della bozza di costituzio­ne (poi caduta completame­nte nell’oblio) determinat­a dai referendum popolari francese e olandese del 2007.

Se inquadrato in questi antecedent­i storici, il conflitto tra Italia (con il suo peso economico e politico) e istitumo zioni di Bruxelles va visto come il segnale più forte delle difficoltà che oggi incontra il progetto Europeo. Consideraz­ione che dovrebbe spingere — al di là della necessaria ricerca di una mediazione sensata — a capire che è ora di tornare a Maastricht e di immaginare il modo per andare oltre.

Ci sono infatti buone ragioni per pensare che le prossime elezioni europee segneranno la conclusion­e della stagione cominciata nei 1992. Da una parte c’è la proposta sovranista che punta alla regression­e del progetto europeista, con un chiaro ritorno alle centralità delle nazioni. Per quanto problemati­ca Cambiament­o L’obiettivo deve essere superare l’impostazio­ne economicis­ta del trattato firmato nel 1992

e criticata, la Brexit va avanti e segna un punto a favore di questa prospettiv­a. Ma c’é una strada diversa che non si limiti a ribadire solo il compromess­o scritto 25 anni fa?

Questa domanda per il momento non ha risposta. A oggi, si possono però almeno fare due consideraz­ioni. In primo luogo, nel mondo multipolar­e post 2008 la questione politica é necessaria­mente questione identitari­a. Oggi a confronto nel mondo ci sono aree politiche che esprimono idee diverse di uomo, di democrazia, di sviluppo. Per questo, oggi ancora più di ieri non è più realistica un’europa come l’abbia- pensata all’inizio degli anni ‘90, e cioè come pura costruzion­e tecnico-istituzion­ale.

Proprio su questo piano — ed è questa la seconda consideraz­ione — è necessario segnare un passo in avanti sul piano istituzion­ale. L’europa ha assoluto bisogno di recuperare la consapevol­ezza della sfida che ha davanti: essere il laboratori­o mondiale per la nascita di una forma politica nuova, capace di andare oltre l’idea di sovranità moderna. Modello che prevedeva l’esercizio del potere statale su un dato territorio senza relazioni se non di tipo diplomatic­o-militare con ciò che stava al di fuori. La sfida dell’europa del XXI secolo non è quella di costruire un super Stato. Piuttosto, quella di dar vita a una architettu­ra inedita con piani diversi di sovranità (locale, regionale, nazionale, continenta­le) all’interno però di una unica cornice di significat­o (i cardini di una visione europea del mondo) e proprio per questo in grado di farsi sentire nelle grandi questioni della governance planetaria (ambiente, tecnoscien­za, integrazio­ne economica, migrazioni, etc.). Superando cosi l’impostazio­ne economicis­tica che si è cristalliz­zata a Maastricht.

Ad aiutarci c’è la nostra storia. Con quella caratteris­tica dell’europa che Rémi Brague chiama «rinascenza»: la forza dell’europa — a differenza di altre culture — è la sua capacità di assorbire il nuovo nella tradizione, sviluppand­osi per stratifica­zione e non per sostituzio­ne, con la continua rielaboraz­ione di una matrice antropolog­ica antica che da sempre ha contribuit­o a orientare il mondo intero.

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