Mertens l’alfiere che allontana Cavani a suon di gol
Nel Napoli che muove anche le torri, Mertens è l’alfiere che colpisce. Perché dopo 19 calci d’angolo senza esito (l’assurdo record col Chievo), contro la Stella Rossa c’era chi batteva e chi saltava.
C’era lo spirito, soprattutto, di un belga naturalizzato napoletano — il suo soprannome è Ciro — al quale non fa tanto effetto essere entrato nel club dei 100 (i gol con la maglia azzurra) ma di aver superato, seppur soltanto di uno, il numero di reti nelle competizioni europee di Cavani, il fantasma napoletano. Il bomber che se ne è andato, ma che tutti vedono ovunque. L’amico ritrovato con il Psg al quale fare coccole, elargire sorrisi e abbracci nella speranza fin troppo romantica che il profumo di Napoli possa arricchirlo più di uno stipendio dimezzato.
E allora, Ciro-mertens gonfia il petto. E dopo i due gol di mercoledì si è portato a quota venti, lasciando dietro il Matador, piazzandosi come miglior marcatore della storia azzurra nelle Coppe. Legittima la speranza di cancellarne finalmente il mito. La storia del Napoli di oggi promette altro e percorre la direzione degli ottavi di Champions. Verso Anfield, dove Mertens prova a restare sulla torre. E chissà, magari buttare giù dall’altra torre proprio Cavani che va a battagliare al Maracanà di Belgrado.
Destini incrociati, evidentemente: nella peggiore delle combinazioni, nel caso di sconfitta del Napoli contro il Liverpool con più di un gol di scarto, la qualificazione sarebbe assicurata soltanto con la sconfitta del Paris Saint Germain contro la Stella Rossa. Ipotesi, per ora. Calcoli dai quali Carlo Ancelotti rifugge. Con l’autorevolezza di chi sa come si fa e un palmares fin troppo convincente. Di questo, Napoli aveva un gran bisogno. Soprattutto se l’allenatore, cittadino d’europa negli ultimi anni, dice di aver
ritrovato sorriso ed emozioni proprio qui, dove le corde del cuore hanno un particolare significato.
Ancelotti il milanista è diventato anche lui napoletano? «Quasi», dice mentre alza il sopracciglio. Sapendo che più di qualcosa è cambiato nella città dei miti e delle superstizioni, dove nel presepe di San Gregorio Armeno c’è la sua statuetta e nella borsetta di sua figlia Katia (sempre al primo posto in tribuna al San Paolo) ci sono corni rossi e altri amuleti. Poi alla pizza preferisce ancora i tortellini, ma la passione azzurra gli è entrata dentro. E lo spinge a sentirsi favorito ad Anfield, dove, classifica alla mano, ha dalla sua due risultati su tre. Poi, certo, tutta una serie di incastri e combinazioni anche poco favorevoli che però non gli mettono ansia. Parte dalle incognite per trovare il coraggio e dare fiducia alla squadra. Chiamata ancora una volta a fare la migliore partita da capolista del girone («Chi lo avrebbe detto?» rivendica Carlo) e ancora imbattuta dopo 5 giornate.
Ancelotti, guida totale, si avvia alla sfida verità con il Liverpool a testa alta e con la coscienza a posto. E soprattutto con le torri e con l’alfiere: lo scugnizzo fiammingo ha l’occasione di migliorare ulteriormente lo score e allontanare definitivamente il fantasma di Cavani. Perché ora il Napoli può riconsegnare a Mertens la palma di bomber. Scacciare i miti e le paure, alzare l’asticella dei traguardi.