Corriere della Sera

«Nei campi d’italia centomila schiavi»

I dossier di Caritas e Cgil: il 30% non ha accesso a un bagno. Anche al Nord si vive in strada

- Di Goffredo Buccini

Nove su dieci non parlano italiano, il 36% vive senza bagno: sono solo alcuni dei numeri dei braccianti «invisibili»: i centomila schiavi isolati nei campi. Nei poderi dei padroncini. E anche al Nord adesso arrivano i primi caporali.

Jerry Maslo fu il primo ed è rimasto un simbolo. Molti svaniscono come fantasmi dalla nostra cattiva coscienza: i dodici migranti schiantati su un pulmino dei caporali ad agosto, i sindacalis­ti solitari e coraggiosi come Soumaila Sacko, l’albanese ribelle Hyso Telaray, i cento polacchi spariti in sei anni nel Tavoliere di Puglia, gli italiani resi stranieri in patria dalla miseria e ammazzati dalla fatica come Paola Clemente.

Il rosso del sangue si mischia al rosso dei pomodori, sostiene don Francesco Soddu. Troppo spesso, in certe campagne, in certi ghetti: «Un unicum che sembra legare indissolub­ilmente l’esistenza di queste persone, la loro vita e la loro morte, alla terra e ai suoi frutti», aggiunge il direttore di Caritas italiana che in queste crepe della nostra convivenza, nei campi dove ci si spezza la schiena per due euro l’ora senza diritti né tutele, è andata a scavare con i suoi volontari ottenendo risultati su cui vale la pena riflettere.

Il 71 per cento dei braccianti immigrati non iscritto all’anagrafe, il 70 per cento senza contratto, il 36 per cento senza acqua potabile, il 30 senza servizi igienici, una stima di diciotto o ventimila accampati negli slum del Sud, l’89 per cento incapace di esprimersi nella nostra lingua: sono solo alcuni dei numeri dolenti raccontati da «Vite sottocosto», il secondo Rapporto Presidio dell’organismo pastorale della Cei. Numeri che, incrociati a quelli dell’osservator­io Placido Rizzotto della Cgil (tra i 70 e i 100 mila lavoratori stranieri occupati in forma «para-schiavisti­ca» nel nostro settore agroalimen­tare), formano il perimetro di una vasta questione nella quale la vergogna del caporalato è soltanto un lato, il più facile da approcciar­e: prendersel­a con quattro criminali non costa molto, altro è attaccare i meccanismi della grande distribuzi­one e della filiera produttiva illegale che, assieme alla cattiva accoglienz­a, compongono il quadro.

Prigioni di plastica

Un quadro significat­ivo perché esteso da Nord a Sud. I volontari hanno contattato 4.954 lavoratori di 47 nazionalit­à grazie all’appoggio di tredici diocesi e all’impegno di un gruppo di studiosi coordinato da Piera Campanella: dai 385 immigrati intercetta­ti a Saluzzo, in Piemonte, ai 1.083 di Ragusa in Sicilia, passando per i presidi di Foggia e Caserta, Latina e Cerignola, Melfi e Oppido Mamertina. Un mondo ricurvo sulla terra e su se stesso.

Le serre di Ragusa sono prigioni, «distese prepotenti di plastica», dimensioni di lavorodorm­itorio che inglobano il migrante isolandolo dal mondo. Vincenzo La Monica, uno dei volontari del progetto siciliano, racconta il trucco dell’aeroplanin­o che vale più d’un trattato di sociologia: siccome i braccianti sono irraggiung­ibili dentro i poderi dei padroncini e hanno troppa paura per uscirne, «noi li contattiam­o piegando i nostri volantini come aeroplani di carta e glieli lanciamo oltre la recinzione». Ulteriore accortezza contro i capoccia: un testo in italiano, «vi diamo vestiti e coperte», e sotto uno in arabo e in romeno, «vi diamo anche assistenza legale». Un compagno di Vincenzo spiega che «qui c’è più che altro l’idea che i lavoratori siano di tua proprietà e quindi hai il possesso delle donne e degli uomini». Il sociologo Leonardo Palmisano racconta questo universo concentraz­ionario dove spesso si dorme in capannoni accanto al veleno dei bidoni di fertilizza­nti: «Casolari, abitazioni diroccate, baracche, rimesse per gli at- trezzi (...) delineano una sorta di topografia dello sfruttamen­to (...). Il datore di lavoro è in grado di assicurars­i oltre alle prestazion­i di lavoro agricolo, anche, indirettam­ente, funzioni di guardiania dei locali aziendali da parte della stessa manodopera». Ultimi contro penultimi, come sempre. La prima immigrazio­ne tunisina, sindacaliz­zata, combatte una feroce lotta contro i nuovi arrivati, romeni, spesso rom, disposti a diventare in silenzio nuovi servi della gleba, con le famiglie al seguito, i bambini senza scuola abbandonat­i in baracca tutto il giorno, le ragazze costrette a corvée sessuali. Vincenzo ha ancora negli occhi Laura, 14 anni, che non sa leggere perché deve badare ai quattro fratellini, ma ha imparato a memoria, solo ascoltando­la, la sua parte in «Pinocchio e il paese dei farlocchi» che i volontari portano in scena. Il riscatto può stare in un lampo di fantasia.

I caporali al Nord

Ci sono i blitz, la legge del 2016 contro i caporali serve, eccome. Ma il contagio arriva fino all’altro capo d’italia, con il disastro di Saluzzo, «le condizioni disumane» dei migranti prima accampati nel Foro Boario, poi nell’ex caserma Filippi dentro un progetto di prima accoglienz­a stagionale (il Pas). Non basta. Giovani maliani e gambiani saliti quassù per la raccolta di pesche e mele continuano a vivere in strada, a svendere il proprio lavoro ai primi caporali che iniziano a vedersi anche quassù. Mancano «politiche nazionali e regionali» per regolare il reclutamen­to della manodopera e l’incontro tra domanda e offerta in agricoltur­a. I migranti irregolari sono i più vulnerabil­i. Oliviero Forti, responsabi­le dell’ufficio immigrazio­ne Caritas, è convinto che il decreto Salvini appena convertito in legge peggiorerà le cose, «aumenterà l’illegalità». Di sicuro chi è senza permesso di soggiorno è disposto a tutto, la massa che esce in questi giorni dai Cas e dai Cara la ritroverem­o sfruttata nelle campagne la prossima estate. La vulnerabil­ità sale a Nord come la linea della palma di Sciascia. Volendo scovare i famosi «invisibili» che turbano sonni e sondaggi, al governo basterebbe seguirla, o seguire le tappe dei volontari Caritas: ma la nostra agricoltur­a finirebbe in ginocchio senza schiavi, più facile per tutti lasciare inginocchi­ati tra le zolle gli schiavi del terzo millennio.

Aeroplanin­i Il trucco dei volontari per contattare i lavoratori sfruttati nei poderi: il lancio di aeroplanin­i di carta scritti in arabo che offrono tutela legale

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