Corriere della Sera

Perché lo spread alto fa male a tutti

CON IL RIALZO CI STANNO PERDENDO BANCHE, FAMIGLIE, IMPRESE ALLO STATO COSTERÀ SEI MILIARDI DI INTERESSI IN PIÙ, SOLDI IN MENO PER GLI INVESTIMEN­TI O I SERVIZI PER I CITTADINI

- di Milena Gabanelli e Giuditta Marvelli

Che cosa cambia per tutti noi se cresce lo spread? Quando si amplia troppo la distanza tra i rendimenti dei nostri titoli di Stato e quelli degli omologhi tedeschi, considerat­i i più affidabili, è come se tempestass­e su tutti i settori dell’economia. Alcuni danni si vedono subito, altri a distanza di tempo.

La ricaduta sui miei risparmi

Ho investito in titoli di Stato con durata a cinque anni 10 mila euro, comprandol­i nel 2017, quando lo spread era intorno a 150 e il tasso all’1%: se li vendo oggi, non riavrò i miei 10 mila euro, ma solo 9.700 perché il titolo ha perso valore. Se aspetto la scadenza, invece, mi daranno quello che è previsto nel contratto, cioè il capitale e gli interessi annui all’1%, anche se nel frattempo sono saliti al 3 o al 4%. E se compro titoli oggi che succede? Adesso un Btp a cinque anni mi offre il 2,5% l’anno, ma il meccanismo non cambia: più i rendimenti vanno su, più perdo se vendo prima della scadenza. Banca d’italia, nel rapporto sulla stabilità finanziari­a pubblicato la settimana scorsa, ha calcolato che in media da maggio il valore dei Btp in circolazio­ne si è ridotto del 9%. Un danno che potrebbe annullarsi se lo spread tornasse a 150, e se chi possiede i titoli nel frattempo non li ha venduti. Solo il 5% dei titoli emessi (circa 100 miliardi di euro) è posseduto direttamen­te dalle famiglie, ma i Btp sono anche dentro fondi, polizze e fondi pensione.

I mutui

Lo spread incide sul mutuo in corso? Se è stato stipulato a tasso fisso, lo spread può fare quello che vuole. Ma anche se è variabile i movimenti di questo «barometro» dei rendimenti non hanno influenza, perché in genere i prestiti per la casa sono ancorati ai tassi medi europei. Se invece vado a fare un mutuo nuovo oggi gli effetti della grandine cominciano a vedersi: pagherò tra lo 0,30% e

lo 0,70% in più di quello che avrei dovuto mettere in conto se avessi firmato il contratto a luglio. In soldoni se consideria­mo un prestito a tasso fisso ventennale da 120 mila euro, la mia rata mensile adesso è fino a 40 euro più cara, come dimostra un’elaborazio­ne de «L’economia» del Corriere della Sera su dati Mutuionlin­e.it. Sembra poco, ma in venti anni parliamo di 9.600 euro in più. Inoltre, quando lo spread sale, le banche diventano molto selettive, la platea si restringe, lasciando fuori i più deboli che spesso sono i giovani.

Ricaduta su banche e imprese

Le banche italiane sono tra le più esposte agli effetti negativi dello spread, che mette a dura prova la loro stabilità patrimonia­le. A settembre 2018 avevano in pancia 369 miliardi di titoli di Stato, la maggior parte sono immobilizz­ati fino a scadenza, mentre una quota viene contabiliz­zata a valore di mercato, per poterla vendere in caso di necessità. Siccome i titoli che fino a 7 mesi fa valevano 100, oggi valgono 97, la perdita che devono mettere a bilancio è calcolata in circa 10 miliardi di euro. Finora in media hanno retto bene e, anzi, hanno comprato (secondo il rapporto di Banca d’italia) 39 miliardi di Btp, ma se lo spread resta elevato, per le banche diventa più difficile far quadrare i conti. La conseguenz­a sarà una stretta sui servizi e sui prestiti a famiglie e imprese, che già oggi stanno facendo più fatica ad ottenere crediprobl­ema

to. Proprio come lo Stato, che per vendere i Btp deve alzare i rendimenti, le aziende se provano a finanziars­i emettendo dei bond, pagano interessi più elevati. Il costo delle nuove emissioni di imprese con merito di credito abbastanza buono è passato dall’1,8% del primo trimestre al 3,5%. E tutto questo pesa su un’economia già fragile.

Ricaduta sullo Stato

Quando sale lo spread anche il contribuen­te paga pegno. Lo Stato infatti deve pagare gli interessi sul debito pubblico che complessiv­amente vale 2.300 miliardi. Ogni anno vanno a scadenza circa 400 miliardi di titoli, detenuti da assicurazi­oni, banche, finanziari­e, fondi. Italiani ed esteri. Gli interessi, ogni anno, costano allo Stato circa 60 miliardi, e Banca d’italia ha calcolato che il raddoppio dello spread degli ultimi mesi ci è già costato 1,5 miliardi in più. Se lo spread dovesse restare sui valori di oggi, nel 2019 saranno 5 i miliardi di interessi che dovremo aggiungere, e saliranno a 9 nel 2020. Soldi che bisognerà trovare togliendol­i dagli investimen­ti o dai servizi per i cittadini, dalla sanità alla scuola.

Il ruolo degli speculator­i

I titoli di Stato in circolazio­ne sono 1.952 miliardi. Negli ultimi sei mesi, i grandi fondi stranieri, che oggi possiedono il 24% del nostro debito, hanno venduto 55 miliardi di Btp. Ma hanno venduto per liberarsi di un o hanno anche speculato per guadagnare sul ribasso delle quotazioni? Un indicatore di questa attività — che viene normalment­e svolta da tutti gli attori del mercato e che solo nel caso di vero e proprio attacco speculativ­o assume proporzion­i devastanti — è il volume del prestito titoli. Per guadagnare sul ribasso di un asset bisogna venderlo «allo scoperto» cioè senza possederlo. Esempio: prendo a prestito un Btp che costa 95 pagando una commission­e, poi lo vendo e «scommetto» sul fatto che tre mesi dopo varrà solo 90.

Se ho visto giusto alla scadenza del mio contratto lo compro davvero e avrò guadagnato 5. I dati (Ihs Markit) dicono che, all’inizio dell’estate, le richieste di prestito di Btp erano intorno a 30 miliardi, ai massimi da dieci anni. Negli ultimi mesi sono cresciuti parecchio anche i costi dei contratti derivati che i grandi investitor­i stipulano per proteggers­i da un eventuale default dell’italia. Una sorta di polizza, insomma, che diventa più cara quando sale la tensione. Il 30 novembre uno di questi strumenti (credit default swap il nome tecnico) per garantirsi su un orizzonte quinquenna­le costava 24.551 euro per ogni milione di Btp. Un cds sull’omologo francese solo 3.318 euro e quello sul bund 1.363. Il mercato dei derivati su tutti i titoli italiani (azioni e obbligazio­ni) in ottobre valeva ben 490 miliardi. Un quarto del Pil.

Che cosa ha innescato tutto questo?

Chi ha comprato i nostri titoli vuole interessi più alti perché ha paura che i conti dell’italia peggiorera­nno e si fida meno delle sue capacità di onorare un debito pubblico pari al 132% del Pil. Quindi o siamo così bravi da convincere il mercato che la manovra del governo produrrà buoni risultati, oppure se questa «tensione» dovesse protrarsi nel tempo, o aumentare, il rischio è quello di una spirale perversa. Dopo ulteriori declassame­nti del nostro debito che renderebbe­ro difficile trovare compratori per i Btp, si aprirebber­o scenari molto incerti per tutto il sistema Paese. Con rischi di nuove tasse per i cittadini oltre che di un commissari­amento da parte dell’europa.

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