Corriere della Sera

L’accusa a Renzi: gestiva lavoro nero assieme al papà E loro: quereliamo

- Marco Gasperetti

Una storia di presunto lavoro nero che vedrebbe coinvolti Tiziano Renzi e il figlio Matteo, raccontata ieri dal quotidiano La Verità, scatena nuove polemiche politiche ma anche la reazione indignata del padre dell’ex premier che parla di un’ennesima campagna diffamator­ia e annuncia querele.

Nell’articolo si leggono le dichiarazi­oni di Andrea Santoni, chef italiano residente a Londra, che alla fine degli anni Novanta avrebbe lavorato insieme ad altri giovani come strillone nella società Speedy Florence della famiglia Renzi e sarebbe stato pagato in contanti e senza contratti e ricevute. «Prendevo i giornali, raggiungev­o la mia postazione e li vendevo — ricorda Santoni nell’articolo —. A casa facevo i conti e preparavo la busta con il denaro per i Renzi. Matteo prendeva le buste con i nostri nomi, ma non le apriva davanti a noi». E ancora: «Contratti? Io non ho mai firmato nulla e non ho dovuto presentare alcun documento. Era tutto in nero».

Immediata la replica di Tiziano Renzi che su Facebook spiega che «i ragazzi che distribuiv­ano

La replica Il padre dell’ex premier: «Stipendi in contanti ma nulla di irregolare, pagavamo le tasse»

i quotidiani erano pagati cash perché tratteneva­no il loro compenso da ciò che incassavan­o con la vendita dei quotidiani ma poi ovviamente l’azienda provvedeva al pagamento delle tasse come previsto dalla legge. Era pagamento in contanti — conclude Renzi senior —, non in nero: una semplice differenza che in sede di tribunale sarà facilmente dimostrabi­le».

Anche il figlio Matteo, sempre su Facebook, scrive che «ancora oggi un quotidiano ci ha diffamato sul lavoro nero, dicendo il falso, e il suo direttore ne risponderà in tribunale». L’ex leader del Pd poi avvisa: «Ogni accostamen­to dei guai dei Di Maio alla mia famiglia fa fioccare le azioni civili per risarcimen­to danni».

In una nota il Movimento 5 Stelle chiede invece ai Renzi di scusarsi per il caso del padre di Luigi di Maio. «Per giorni gli esponenti del Pd, Renzi in testa — si legge nel documento —, nascondend­o i propri scheletri nell’armadio, hanno dispensato lezioni di morale. Dall’alto della propria ipocrisia hanno tentato di infangare il nome di Luigi per un bidone, una carriola e qualche calcinacci­o abbandonat­i nella proprietà del padre, coprendosi di ridicolo perché Luigi era totalmente estraneo alla vicenda».

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