Il terreno con villetta e piscina Le foto in tv contro Di Maio
Nel servizio le «Iene» ipotizzano il ruolo di prestanome nell’azienda del padre
ROMA Concorso in elusione fraudolenta. È l’ipotesi di reato nella quale, secondo un avvocato dello studio Martinez & Novebaci, consultato dalle Iene, potrebbe incorrere Luigi Di Maio, in seguito alla vicenda che ha coinvolto il padre. Nell’ultimo servizio sul caso, andato in onda ieri sera, si avanza il sospetto che Antonio Di Maio sia stato il socio occulto, proprietario di fatto dell’ardima Costruzioni, e che il figlio, ora vicepremier, socio al 50% con la sorella abbia fatto da prestanome. Ma la trasmissione va oltre e chiede: «Di Maio fa da prestanome per salvare la ditta da Equitalia?».
Un lavoro di scavo certosino e non facile, cominciato con alcune testimonianze che parlavano di lavoro nero. L’azienda dei Di Maio ha un debito di 176 mila euro, contratto dal padre Antonio con Equitalia. Debito la cui natura e origine non è stata chiarita dai Di Maio e che ha comportato l’iscrizione di un’ipoteca legale da 333 mila euro. L’elusione consisterebbe nell’aver usato i figli come prestanomi per difendere i beni dell’impresa da Equitalia.
Ma non è tutto. Gli inviati delle Iene, Filippo Roma e l’autore Marco Occhipinti, con l’aiuto di un drone, hanno scoperto quattro fabbricati abusivi. Secondo Luigi Di Maio, «stanno lì dalla Seconda guerra mondiale». Uno di questi, dice il ministro, «è una stalla».
Ma le Iene hanno scovato una serie di foto che smentiscono questa versione dei fatti. In un’immagine di Google Earth del 2002 i fabbricati non ci sono. In una del 2008 compaiono. Di Maio sostiene di vederli anche nella foto del 2002, le Iene non si capacitano: «Ma dove sono?». La «stalla» in realtà sarebbe una villetta con patio, usata per cene estive di famiglia. Tra le immagini mostrate ce n’è una dall’alto di una piscina montabile, che si staglia tra i fabbricati abusivi. E c’è Luigi Di Maio, a mollo nell’acqua, a pochi metri dalle strutture. Lo stesso figlio dell’imprenditore avrebbe collaborato alla logistica, entrando nei capannoni abusivi: «Ma aprivo solo la porta agli operai quando non c’era mio padre, non ho mai toccato gli attrezzi».
Il vicepremier si difende negando ogni addebito e rimandando tutte le responsabilità al padre Antonio, che ha ammesso di aver commesso degli errori. Ma restano diversi punti non chiariti. Come la questione della causa intentata da un lavoratore contro la società, all’epoca intestata alla madre (benché questa fosse un’insegnante e i ruoli fossero incompatibili). Causa poi transitata nella nuova società, insieme a debiti e crediti. Possibile che il vicepremier non ne sapesse nulla?
Altro punto delicato, il lavoro che avrebbe svolto lo stesso vicepremier con il padre. I documenti forniti finora, per dimostrare di essere in regola, non includono stagioni estive. Eppure Di Maio per ben due volte ha sostenuto di aver lavorato d’estate con il padre. Per poi, a posteriori, derubricare quel lavoro a semplice aiuto famigliare. Agli addebiti si aggiunge anche quello, scoperto dal Fatto Quotidiano, secondo il quale l’attuale ministro del Lavoro avrebbe lavorato in nero per un anno in una pizzeria. Accanimento mediatico, sostengono i 5 Stelle, che difendono a oltranza il ministro e attaccano Renzi padre e figlio, accusati da un articolo della Verità di aver pagato in nero dei lavoratori (Tiziano smentisce: «Erano soldi in contante, non in nero»).
Di Maio aveva annunciato che avrebbe diffuso nuovi documenti che lo scagionavano da ogni accusa. Ma ieri ha spiegato alle Iene: «Una settimana non mi è bastata per riordinare le carte».
Le dichiarazioni Il capo M5S non porta i nuovi documenti: una settimana non basta per riordinare le carte