IL REPORTAGE
SUL MARE D’AZOV
Vecchi capannoni in disuso, uffici abbandonati, strade vuote di auto e pedoni, di camion neppure l’ombra. E poi edifici scrostati, finestre infrante, vagoni ferroviari arrugginiti sostano sui binari alla stazione del porto come antichi monumenti a ricordo di un’epoca remota di traffici e ricchezze, che sembra tramontata per sempre. Ma a caratterizzare la decadenza di questo scalo, che fu il fiore all’occhiello della potenza sovietica, sono soprattutto decine e decine di UCRAINA Mariupol Crimea Sebastopoli
Mar d’azov Stretto di Kerch Mar Nero RUSSIA spiegano le tre animatrici di «Vezha» (La Torre), il centro culturale di Mariupol situato in una vecchia cisterna dell’acqua costruita in epoca zarista. Paralisi del porto significa povertà ed esodo. «Mariupol aveva visto una netta crescita dopo il crollo dell’impero sovietico nel 1991. Da qui era ripreso l’export del nostro grano verso l’europa, assieme al carbone e all’acciaio. Ma il ponte russo ha inferto un colpo mortale. Il porto nell’ultimo anno vede una caduta pari ad oltre il 30% delle sue attività precedenti. Le compagnie stanno indirizzandosi sul porto di Odessa, lasciando Mariupol al suo destino», racconta il 35enne Alexey Orlov, impiegato di Arsenal, una compagnia di prodotti hightech e supporto informatico che ha visto crollare il giro d’affari per le attività legate al traffico delle navi.
Lascia stupiti quanto la comunità internazionale sia rimasta in silenzio di fronte alla scelta russa negli ultimi tre anni di costruire il ponte. «Noi abbiamo provato a denunciare. Ma nessuno ci ha ascoltato. Il ponte russo rappresenta una violazione a tutte le norme e i trattati internazionali. A partire dall’altezza, 35 metri, che impedisce il passaggio delle grandi navi mercantili. Noi avevamo chiesto fosse alto almeno 42 metri», ci spiega il vice ministro della Difesa ucraino, Anatolii Petrenko. I controlli russi sulle navi dirette a Mariupol e Berdyansk, il secondo scalo ucraino sullo specchio di Azov, si sono fatti ancora più serrati negli ultimi giorni. Petrenko denuncia che oltre 400 navi sono ferme a Kerch. «Negli anni Trenta le democrazie europee sminuirono il pericolo rappresentato da Hitler e poi furono costrette ad affrontare una guerra terribile. Speriamo che ora comprendano che noi ucraini combattiamo da soli una minaccia che coinvolgerà prima o poi tutta la Ue», rincara il ministro delle Infrastrutture.
Lasciando col buio l’area portuale, incontriamo alcune auto di soldati ucraini diretti alla linea del fronte. Il freddo intenso non ferma il riscaldarsi del confronto con Mosca.