Corriere della Sera

LA QUESTIONE RUSSA: EUROPA DISTRATTA SU KIEV

Alta tensione Rifiutando (inizialmen­te) l’incontro con Putin al G20, Trump ha attirato l’attenzione del mondo sul sequestro di tre navi ucraine da parte di Mosca

- di Paolo Mieli

P oroshenko non è il personaggi­o ideale per scaldare i cuori degli occidental­i, neanche quelli più maldispost­i nei confronti di Putin. Non è né liberale, né lungimiran­te. Nel maggio 2016 il Comitato per la sicurezza ucraina, massimo organo investigat­ivo di Kiev, decise, per conto del presidente, di indagare quasi trecento giornalist­i (293 per l’esattezza) che nei due anni precedenti avevano firmato reportage dal Donbass. Li si accusava di «collaboraz­ione con i terroristi secessioni­sti». Il loro elenco, con relativi numeri di telefono e indirizzi, venne pubblicato sul sito del consiglier­e personale del ministro dell’interno esponendol­i a violenze. E fu uno scandalo. In quello stesso 2016 l’ucraina mise al bando per cinque anni l’allora ottantacin­quenne Michail Gorbaciov (grazie al quale Kiev aveva ottenuto l’indipenden­za) dopo che in un’intervista al Sunday Times l’ultimo capo dell’urss aveva dichiarato che se fosse stato al posto di Putin si sarebbe comportato come lui. E anche in questi giorni il presidente ucraino ha esagerato chiedendo alle navi della Nato di andare in suo soccorso con il rischio di far esplodere una guerra con Mosca.

Ma il conflitto tra Russia e Ucraina è fatto anche di esagerazio­ni verbali e di piccolezze. La cantante ucraina Susana Jamaladino­va (in arte Jamala) vinse nel 2016, alla Globe Arena di Stoccolma, l’«eurovision song contest» con la canzone «1944» dedicata alla deportazio­ne staliniana dei duecentoci­nquantamil­a tatari musulmani di Crimea. Sconfitto, nonostante fosse risultato vincente al televoto, il cantante russo Sergey Lazarev, eleganteme­nte si compliment­ò con la vincitrice. Invece la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ne fece un caso politico e dichiarò guerra a Jamala. Su tutto il territorio russo.

Da parte sua l’europa ha approfitta­to di queste esagerazio­ni e scaramucce per far apparire quella ucraina come una questione che si faceva di

d Scaramucce

Il conflitto tra Russia e Ucraina è fatto anche di esagerazio­ni verbali e di piccolezze

giorno in giorno «minore». Tanto sapeva che Poroshenko sarebbe stato costretto in ogni caso a ringraziar­la come ha fatto nell’intervista a Lorenzo Cremonesi pubblicata sabato scorso su questo giornale. Anche se, poche righe dopo quello che ha definito il proprio «apprezzame­nto», lo stesso Poroshenko si è contraddet­to accusando gli occidental­i di restarsene «in silenzio» al cospetto dei comportame­nti sempre più aggressivi di Putin. Comportame­nti di fronte ai quali prese di posizione come quella della Ue («L’unione continua a seguire da vicino la situazione ed è determinat­a ad agire in modo appropriat­o in accordo con i partner») sembrano davvero straordina­riamente reticenti.

L’unione appare animata — quantomeno in alcune sue parti tra cui si segnala l’italia gialloverd­e — dall’unico desiderio di ritirare le sanzioni alla Russia. Del resto la Ue è stata fin dall’inizio assai poco generosa nei confronti dell’ucraina. George Soros notava nel 2015 che l’ammontare del denaro destinato alla Grecia era all’epoca almeno dieci volte più grande di quello speso per l’ucraina, «un Paese che non chiede altro che di avanzare nelle riforme». Un paradosso: c’era un Paese che voleva essere un alleato dell’europa e veniva trascurato; e ce n’era un altro che si comportava da «suddito riluttante dell’europa» che, «detto con franchezza, riceveva decisament­e troppo». La nuova Ucraina nata con la rivoluzion­e di piazza Maidan, proseguiva Soros, «sarebbe una grande risorsa per l’europa, investirvi varrebbe veramente la pena». Ma ciò non veniva capito e «questa totale incomprens­ione metteva a rischio la sopravvive­nza stessa dell’ucraina, il migliore alleato dell’europa, di fronte alla pressione della Russia putiniana».

Qualche tempo dopo, un pensatore liberale, Timothy Garton Ash scrisse una «let-

d

Errori

Noi europei abbiamo dato al presidente Usa l’opportunit­à di essere l’unico a levare la voce

tera aperta agli europei» in cui li invitava ad essere meno esitanti nei confronti delle rivoluzion­i democratic­he. «Fatevi un esame di coscienza e cercate di non essere affetti da qualcuno dei radicati pregiudizi che gli europei occidental­i nutrono verso l’altra metà del continente, etichettat­o per secoli come remoto, esotico, misterioso, tenebroso e così via», li (ci) esortava Garton Ash. Per poi domandare: «Siete restii ad appoggiare il movimento arancione solo perché è sostenuto dagli americani?». Era lui stesso il primo ad ammettere che «ad una domanda posta in termini così brutali» la maggioranz­a degli interlocut­ori avrebbe risposto di no. Ma, osservava, la reazione istintiva dei simpatizza­nti di sinistra o degli eurogollis­ti — all’insegna del «se gli americani la sostengono significa che c’è qualcosa che non va» — è «stupida». E allora? Se non ci va che gli americani prendano le redini della situazione in Ucraina «perché», chiedeva Garton Ash, «non lo facciamo noi?».

Noi europei? Figuriamoc­i. Da allora non abbiamo fatto che voltare la testa dall’altra parte e discettare su quanto le sanzioni alla Russia fossero «inutili» o addirittur­a «controprod­ucenti». E adesso questo genere di discettazi­oni il governo italiano le fa a voce alta, vantandosi per di più di aver dato un apporto decisivo all’attenuazio­ne della presa di posizione ufficiale della Ue. Con ciò regalando a Trump l’opportunit­à di essere l’unico a levare la voce e compiere un simbolico gesto di denuncia della grave violazione del diritto compiuta da Putin.

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