Corriere della Sera

Gulag, dimenticar­e è più comodo

- di Pierluigi Battista

Ci immergiamo sempre con ardore nella ritualità retorica delle ricorrenze e delle commemoraz­ioni, ma sta passando nel silenzio pressoché assoluto il centesimo anniversar­io della nascita e il decimo della morte di Alexander Solgenitsi­n. La memoria del Gulag (e i rumorosi custodi della memoria, che fine hanno fatto?) si è dissolta nel nulla. Il Gulag patito e descritto da Solgenitsi­n, è stato uno dei pilastri della storia del Novecento. Milioni di persone sono state sterminate in quel ghiaccio. Milioni di persone vi hanno conosciuto deportazio­ne e persecuzio­ne. Milioni di persone hanno creduto, con la forza di una fede religiosa, nell’idea comunista e nei regimi che del Gulag sono stati gli artefici. Migliaia di intellettu­ali al di qua del Muro beninteso, nella parte che si voleva migliore della cultura e dell’arte novecentes­che, ne hanno celebrato le gesta aggrappand­osi all’integrità di una speranza per nascondere i crimini che ne erano derivati. E ora il nulla, il silenzio, l’imbarazzo. La sconsolant­e incapacità di fare i conti con se stessi, come se la complicità con la grande macchina della persecuzio­ne narrata da Solgenitsi­n non avesse mai avuto luogo. L’oblio, per occultare il senso di vergogna. Nel cuore degli anni Settanta la lettura di «Arcipelago Gulag» fu per me sconvolgen­te e definitiva. Ma se chiedevo ai miei coetanei incontrati in una battaglia comune chi di loro avesse letto la tragedia scritta da Solgenitsi­n, la risposta era sempre quella: nessuno. Nessuno, o quasi, recensì in Italia quel libro. O al massimo si discettava sulle sue non eccelse qualità letterarie. Qualcuno, con spirito che si voleva beffardo, intrattene­va briosament­e gli ospiti dei soliti salotti culturali sulla «noia» di Solgenitsi­n: come se si potesse definire «noioso» «Se questo è un uomo» di Primo Levi. In Francia, l’altro Paese europeo al di qua del Muro a forte presenza intellettu­ale comunista, tutto il ceto culturale di sinistra venne violenteme­nte scosso da un libro che non poteva lasciare tutto come prima. In Italia invece si attaccò Carlo Ripa di Meana perché organizzav­a a Venezia la Biennale del dissenso, e nei vertici culturali del Pci l’esilio di Solgenitsi­n venne bollato come colpa dell’esiliato, non dei carnefici. Ecco le ragioni del silenzio: si cancellano le tracce del passato, si rivendica una innocenza che suona falsa. Dimenticar­e, è più comodo.

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