Gulag, dimenticare è più comodo
Ci immergiamo sempre con ardore nella ritualità retorica delle ricorrenze e delle commemorazioni, ma sta passando nel silenzio pressoché assoluto il centesimo anniversario della nascita e il decimo della morte di Alexander Solgenitsin. La memoria del Gulag (e i rumorosi custodi della memoria, che fine hanno fatto?) si è dissolta nel nulla. Il Gulag patito e descritto da Solgenitsin, è stato uno dei pilastri della storia del Novecento. Milioni di persone sono state sterminate in quel ghiaccio. Milioni di persone vi hanno conosciuto deportazione e persecuzione. Milioni di persone hanno creduto, con la forza di una fede religiosa, nell’idea comunista e nei regimi che del Gulag sono stati gli artefici. Migliaia di intellettuali al di qua del Muro beninteso, nella parte che si voleva migliore della cultura e dell’arte novecentesche, ne hanno celebrato le gesta aggrappandosi all’integrità di una speranza per nascondere i crimini che ne erano derivati. E ora il nulla, il silenzio, l’imbarazzo. La sconsolante incapacità di fare i conti con se stessi, come se la complicità con la grande macchina della persecuzione narrata da Solgenitsin non avesse mai avuto luogo. L’oblio, per occultare il senso di vergogna. Nel cuore degli anni Settanta la lettura di «Arcipelago Gulag» fu per me sconvolgente e definitiva. Ma se chiedevo ai miei coetanei incontrati in una battaglia comune chi di loro avesse letto la tragedia scritta da Solgenitsin, la risposta era sempre quella: nessuno. Nessuno, o quasi, recensì in Italia quel libro. O al massimo si discettava sulle sue non eccelse qualità letterarie. Qualcuno, con spirito che si voleva beffardo, intratteneva briosamente gli ospiti dei soliti salotti culturali sulla «noia» di Solgenitsin: come se si potesse definire «noioso» «Se questo è un uomo» di Primo Levi. In Francia, l’altro Paese europeo al di qua del Muro a forte presenza intellettuale comunista, tutto il ceto culturale di sinistra venne violentemente scosso da un libro che non poteva lasciare tutto come prima. In Italia invece si attaccò Carlo Ripa di Meana perché organizzava a Venezia la Biennale del dissenso, e nei vertici culturali del Pci l’esilio di Solgenitsin venne bollato come colpa dell’esiliato, non dei carnefici. Ecco le ragioni del silenzio: si cancellano le tracce del passato, si rivendica una innocenza che suona falsa. Dimenticare, è più comodo.
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