Verdi ai tempi di Salò
L’allestimento ha inaugurato l’opera di Roma Applausi per l’eleganza musicale di «Rigoletto» Fischi alla cupa ambientazione voluta da Abbado
ROMA C’è un sapore del film Novecento di Bernardo Bertolucci nel Rigoletto che ieri ha aperto la stagione dell’opera di Roma, ambientato nella Repubblica di Salò. È il Verdi dei due Danieli milanesi: il regista Daniele Abbado e il direttore d’aorchestra Daniele Gatti, che ha voluto liberarsi da una certa tradizione che privilegia acuti, ornamenti e puntature, ovvero le note non scritte che permettono ai cantanti di fare capriole vocali. Ma il successo è stato caloroso (otto minuti di applausi), anche se la regia di Abbado è stata contestata.
C’è una notizia che trapela dal Campidoglio e che si sovrappone allo spettacolo: Gatti è stato nominato nuovo direttore musicale del teatro, l’annuncio sarà dato domani dalla sindaca Virginia Raggi, ieri presente in teatro. L’ultimo fu Gelmetti nel 2009, prima di Giuseppe Sinopoli che durò due anni ma senza formalizzare e senza inaugurazioni, e dopo Riccardo Muti che prudentemente si limitò alla direzione onoraria.
Per un direttore continuativo e di peso internazionale a Roma, bisogna andare a Tullio Serafin, 1934-’43, quasi un secolo fa. Lo scorso anno, Gatti era a un passo dall’accettare. Ora ha più tempo libero, a causa del licenziamento per presunte molestie sessuali dal Concertgebouw di Amsterdam. Dall’olanda non hanno mai chiarito che cosa davvero è successo, limitandosi a dire che alcune donne dell’orchestra, senza fare nomi, non si sentivano a loro agio con il direttore italiano, che ha respinto ogni accusa. Questo a seguito di una vicenda di 20 anni fa denunciata da due cantanti al Washington Post.
Dopo il caso estivo, Rigoletto è la prima opera per lui, salvo quattro concerti: a Firenze, Monaco, San Pietroburgo e in Cina. Troverà un teatro in crescita, passato in quattro anni, con il sovrintendente Carlo Fuortes, da 7 a 14 milioni di incasso. Sembra uno scambio alla pari: sia per il teatro che per il direttore, è una risalita.
Rigoletto dunque. La voce splendida di Lisette Oropesa, come Gilda, si unisce alla grande esperienza di Roberto Frontali, che appare con una giacca blu luccicante, il volto biaccato, da clown: la gobba non ce l’ha, la «fa», cammina a piccoli saltelli come se la avesse.
I caseggiati rossi ricordano la cascina del film, non fosse per il ferro e le scale che sono ovunque. Ma le case di ringhiera e la nebbia padana, «pari sono» alla visione del regista appena scomparso. E così i luoghi, Bertolucci girò nei luoghi verdiani ma anche a Mantova, dove si svolge l’opera. Per non parlare della prima immagine di Novecento, il gobbo del villaggio, chiamato Rigoletto per la sua passione canora, che urlando annuncia la morte di Verdi. La festa del duca ha momenti orgiastici, le donne in calze a rete; gli uomini, cupi e torvi, in uniforme, stivali e camicie nere, oppure in borghese come la polizia segreta, sfoggiano muscolarità. Ci si sposta dal XVI secolo alla coda del fascismo. Ma non si calca la mano, non c’è ideologia, né quei toni pulp in voga oggi. Potere politico e prevaricazione. La plausibilità è nel protagonista che dice a Gilda: «Culto, famiglia, patria, il mio universo in te». E pensando al duca libertino, Verdi lo descrive come «un padrone assoluto»; per Abbado è «uno che se ne frega».
«Preparatevi a un possibile shock — annota Gatti —. Se uno osa un fraseggio o un colore inusuale, crea scompiglio. Liberiamoci dei ricordi, oggi dobbiamo chiederci cosa ha spinto Verdi a scrivere in questo modo». Ha spaccato la partitura in quattro. E in una chiave intellettualizzata, inquieta e densa, rinunciando al fuoco e alla genuinità ruspante che brucia tra inganni e vendette, sceglie «tempi larghi» (qui e là con improvvise accensioni). È un Rigoletto con una sua nobiltà, tutto è funzionale «al dramma e non al puro virtuosismo vocale». La melodia è affidata all’orchestra, i personaggi riflettono cantando «nel parlato» sulla propria condizione. Un
La nomina
Gatti nominato dalla sindaca Raggi nuovo direttore musicale del teatro capitolino
teatro modernissimo. La deformità di Rigoletto è una deformità interiore, questa la sua maledizione; l’amata figlia qui muore camminando, come trasfigurata. I due Danieli tornano «non diciamo alla verità, ma alle indicazioni del compositore, anche registiche». Lo spettacolo vuole essere un omaggio a Verdi.